domenica 8 luglio 2012

                                    Una visita a Djenné, in Mali
            Stamani ci siamo alzati presto, per questa sera abbiamo previsto di arrivare a Djenné, un’antica città del Mali.

Oltre novemila chilometri per arrivare a Djenné
            La giornata è bella ed assolata con una leggera brezza da nord. Stiamo attraversando un territorio pianeggiante, ci fanno da cornice piccoli villaggi in mattoni di fango ed i tetti di paglia; nelle campagne circostanti, le rigogliosissime palme si alternano con la maestà dei baobab, vere sculture viventi, i loro fusti superano i due metri di diametro. Il pensiero torna a qualche giorno indietro, quando attraversammo l’arrido territorio della Mauritania, un deserto piatto con una rarissima vegetazione spinosa. Qui in Mali la situazione è completamente differente, i campi coltivati ed i  pascoli si susseguono, il fiume Niger è una grande risorsa.


Una scultura vivente
            Sulle distese erbose si alternano, mandrie di mucche e grandi greggi di pecore, le coltivazioni e gli orti non mancano, lo testimoniano i tanti mercatini ai bordi strada che mostrano le loro mercanzie di frutta e verdura.
            Anche questa parte del percorso come in tutto il Paese, è rallentato dai tanti dossi prima e dopo ogni più piccolo villaggio, ci sono rallentatori a serie di quattro all’ingresso e all’uscita di ogni frazione abitativa. Gruppi di ragazzi di varie età con passo celere vanno verso la scuola, li accomuna l’unico quaderno tra le mani, il pensiero va ai nostri studenti con i loro zaini “affardellati”.
            Anche oggi la strada è stata pessima, ed il trasferimento va a rilento. Ci fermiamo presso una piccola comunità con la sua chiesetta cristiana e tante capanne intorno, molte sono dei granai, lo testimonia il fatto che i pavimenti sono sollevati dal terreno. Cerchiamo rapidamente di fare qualche foto, perché arrivano bambini e non solo a chiedere di tutto.


I granai
            Nel pomeriggio ad un bivio, lasciamo la strada statale, prendiamo una carreggiata a pagamento che ci porterà a Djenné. Il pedaggio ci dicono che serve a mantenere la grande moschea della città, patrimonio dell’UNESCO.
            La città di Djenné è ubicata nella parte alta un’area alluvionale tra il fiume Niger ed il suo affluente Bani, per arrivarci dobbiamo attendere il traghetto che al momento è sull’altra sponda. Il tratto d’acqua è brevissimo e non c’è alternativa. Il portello dell’imbarcazione si adagia sull’approdo, cioè l’arenile del fiume, ci sarà qualche problema per salire, la sabbia è morbida e le ruote affondano; Vittorio scende per sentire la consistenza del terreno tra i solchi lasciati dalle altre vetture. Con un po’ d’abbrivio, la difficoltà è superata, e ci imbarchiamo. La stessa difficoltà la troveremo allo sbarco.

Siamo quasi più grandi noi
            La città si presenta polverosa, strette viuzze dove il nostro camper ci passa appena. Più avanti per complicare la situazione troviamo un mercato che pullula di gente, lo dobbiamo oltrepassare, ci hanno indicato un campeggio che si trova poco più avanti. Con non poche difficoltà oltrepassiamo le bancarelle e, arriviamo in un altro vicolo dove dovrebbe esserci il nostro “campo”; qui le difficoltà diventano due, il vicolo è stretto ed il cancello del camping è basso. L’unica alternativa è una sistemazione fuori città
            Pochi chilometri fuori il centro abitato c’è un villaggio turistico, una parte è ancora in costruzione, c’è un area per campeggiare è senza luce e l’acqua è del pozzo, ma questo non è un problema. Quanto meno non è polveroso ed è tranquillo, per andare in città si serviremo dei taxi.

Il villaggio dove abbiamo fatto campo
            Il giorno seguente con il mezzo pubblico raggiungiamo il centro di Djenné, andiamo a visitare la sua antica moschea, una costruzione decisamente strabiliante, cinta da un alto muro che ne celano parzialmente la vista. Credo sia la più imponente costruzione in mattoni crudi del mondo, con le torri alte più di dieci metri. Purtroppo l’ingresso è vietato ai non musulmani, a meno che, per poterla visitare  non si accetti di essere “taglieggiati”. Conoscendo la semplicità degli interni di queste strutture, non accettiamo il ricatto. Ci accontentiamo di girarle intorno, saliamo sul tetto di una casa di fronte per vedere la vista d’insieme, da qui la possiamo ammirare nella sua interezza ed in piena luce. La sua struttura, il classico stile maliano, è riscontrabile in molte altre moschee, ma questa è imponente, il suo intonaco di fango e paglia comporta una continua manutenzione, per cui i pali che occorrono per le impalcature sono fissi.


La moschea dietro il mercato


La vista dall'alto
            Proseguiamo la visita nella piazza, visitiamo una deludente biblioteca, mentre il museo è chiuso. Poco più in là si trova la tomba di una giovane vergine sacrificata per la salvezza della città, chissà per quale tradizione tribale e barbara. Da queste parti la vita delle donne non deve essere mai stata facile, credo siano viste soltanto come macchine da riproduzione e da lavoro; proprio qui vicino è appena arrivato un grosso camion carico di merci, ed a scaricarlo … soltanto donne.


Lo scarico delle merci
            Il grande e multicolore mercato c’è il lunedì, oggi soltanto pochi banchi di frutta e verdura, acquistiamo un po’ di frutta, soprattutto mango, che a differenza da quelli caraibici, sono più piccoli ma decisamente più dolci e profumati. È ora di pranzo, ed è abbastanza caldo, ci fermiamo in un ristorante fresco e pulito per bere un po’ d’acqua, ne approfittiamo anche per mangiare.

Il mercato
            Nel pomeriggio riprendendo la strada per il camping, incontriamo una ragazza italiana, si chiama Silvia, è una volontaria che qui in Mali fa l’educatrice. Una delle tante ragazze o ragazzi italiani, che pur di lavorare accettano lavori impegnativi lontani da casa.
            Una volta a “casa” facciamo un po’ di relax sotto una tettoia, un leggero venticello ci ripaga del caldo di oggi. Il sole tramonta velocemente ed iniziano ad arrivare le zanzare, non avendo fatto la profilassi contro la malaria rientriamo nel camper. Controlliamo i file fotografici al computer, siamo soddisfatti, molte persone non gradiscono essere fotografate e molti scatti sono stati eseguiti con il teleobiettivo.

La tettoia del relax
            Il giorno seguente, visitiamo un piccolo villaggio a qualche chilometro da Djenné, anche qui tanta inevitabile polvere, il territorio durante l’anno subisce varie inondazioni da parte del Niger, e quando l’acqua si ritira lascia il suo limo che asciugando si trasforma in un sottile fesh fesh. Vicino le prime case, un persona anziana e due donne, ci avvicinano con un quadernetto con tanto di timbri, lui ci chiede una piccola somma, un contributo per entrare nel paese e per poter fotografare. In molti villaggi del Mali questa tassa è una consuetudine, dicono che serve per la comunità. Entriamo in un piccolo cortile, dalle persone che vi stazionano dovrebbe appartenere ad una grande famiglia, anziani, donne e bambini di ogni età.


Nel piccolo cortile

            Una delle due signore si è cambiata d’abito, indossando un vestito multicolore e grandi gioielli in argento; si fa fotografare poi al momento dei saluti ci chiede alcune monete. C’è stato un malinteso, i soldi per fotografare dati al “vecchietto” si sono volatilizzati insieme a lui, insomma tutti chiedono, sembra il film di Benigni e Troisi “quanti siete: due fiorini”.


Vestiti multicolori
            Il resto del villaggio è un dedalo di viuzze che a volte lasciano il posto a piccole piazze con altrettanti mercatini dove giovani ragazze portano la frutta appena colta, con qualche stratagemma riusciamo a fare dei buoni scatti per non suscitare il dissenso della gente.


Verso il mercato


Verdure appena colte
            Intorno a noi tantissimi bambini che ci seguono passo dopo passo, io scherzo con loro divertendosi a ballare con me.

Il ballo con i bambini

           La passeggiata continua vicino la riva del fiume, non sfuggono alle nostre fotocamere alcune signore intente a fare il bucato, molte eseguono questa faccenda domestica con il proprio bambino legato dietro la schiena, è il modo usuale per le donne maliane per “trasportare” i figli.

Vita sul fiume
            Rientriamo a Djenné, attraversando la piazza principale vengo avvicinata da una donna sorridente, è di notevole statura, dietro le spalle l’immancabile bambino e sulla testa la sua mercanzia, dei piccoli souvenir. È simpaticissima, gli compro un braccialino e ci facciamo un foto insieme.


Dal suo fardello esce un piedino
            Il tanto camminare ed il gran caldo ci consiglia di tornare sul camper, Siamo appena agli inizi di febbraio, cosa sarà qui in estate?
            Nel frattempo un SMS della Farnesina ci avverte di lasciare immediatamente la regione, dal nord del Paese, i tuareg ribelli sono arrivati a Timbuktù e, che anche nella capitale Bamako ci sono dei disordini. In pratica noi siamo in mezzo e, la strada per tornare in Italia passa per Bamako. Siamo contrariati, ci manca la “ciliegina sulla torta” di questo viaggio: la falesia dei Dogon  che si trova nel circondario di Bandiagara, mancano poco meno di duecento chilometri. Noi non rinunciamo alla parte più importante del viaggio.
            Ma i Dogon, sono un altro racconto.
                                                                                              Anna Maria Rosati
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