lunedì 23 settembre 2013

                                         Bandar Abbas e Minab, (IRAN)
                                                 “la curiosa usanza”     
      Questo racconto di viaggio, ci condurrà nel profondo sud iraniano. Vogliamo raccontare di donne che hanno il volto coperto da una maschera multicolore. Il fenomeno riguarda quasi tutte le abitanti del golfo, ma il suo epicentro è nella cittadina di Minab.  

      Un itinerario famigliare

            Questa sera faremo sosta nella città di Bandar Abbas, abbiamo bisogno di carburante ed alcune derrate alimentari. A trenta chilometri dalla città davanti ad un alto massiccio montuoso, il cartello “Persian Gulf Highway” ci da il benvenuto. 

      Siamo quasi arrivati
            Siamo leggermente preoccupati per la mancanza di carburante, da circa trecento chilometri abbiamo incontrato soltanto distributori sprovvisti di gasolio, è incredibile per un paese che “galleggia” sull’oro nero. Si è appena accesa la spia della riserva, quando in lontananza notiamo una pompa di benzina, dobbiamo transitare sopra una strada sterrata per arrivarci. Una lunga fila di autotreni ci precedono con i loro serbatoi da mille litri.  I camionisti con un cenno di saluto ci fanno passare avanti, noi avevamo già pensato di passarci la notte; il loro gesto conferma l’ospitalità del popolo iraniano.
            Entriamo in città verso le diciannove, un lungo viale alberato ci condurrà in pieno centro ma noi prendiamo una strada laterale verso il mare dove sicuramente l’aria sarà più ventilata. Un ampio parcheggio davanti ad una smisurata spiaggia, ci sembra ottimo per trascorrere la notte.
            Il mattino seguente veniamo svegliati dal vociferare gioioso di alcuni bambini che giocano vicino al camper; anche loro con le loro famiglie, hanno dormito nel parcheggio dentro semplici tende che in questo Paese stanno prendendo piede da qualche anno.
            Ieri sera non ci eravamo accorti di un grosso mercantile “spiaggiato” ben dritto sull’arenile, dai primi sguardi dovrebbe essere accaduto da poco, chissà quale tempesta o guasto meccanico l’ha portato fin qui.

      Il mercantile arenato

         Scattiamo qualche istantanea prima di avventurarci per le strette vie del bazar. Tra profumi di spezie, tabacco e di frutta, ci inoltriamo per cercare le “neqâb” le caratteristiche mascherine che molte donne del luogo usano per nascondere il volto.

     Sotto la mascherina, un passamontagna.
          
     Le Neqâb, mascherine multicolori

Nessuno sa esattamente l’uso ed il perché di queste mascherine. Alcuni dicono che soltanto le musulmane più ortodosse le indossano, ma l’unica cosa certa è che non si tratta di un fatto religioso. Da alcuni cenni storici sembra che questa usanza risalga dai primi anni del XVI° secolo, con l’arrivo dei primi portoghesi nello stretto di Hormuz.
Quindi, la conclusione più probabile è che da quel periodo (oltre un secolo di occupazione), le donne si siano coperte per non farsi vedere dagli invasori.

            Davanti a noi si apre una grande ed animosissima piazza, vivaci commercianti di pesce reclamizzano a voce alta la loro mercanzia, tra di loro moltissime donne dalle coloratissime vesti ed alcune con la caratteristica mascherina. Adagiati sui banchi o sopra dei cartoni appoggiati in terra, diversi tipo di pesce di grossa taglia, spicca soprattutto il tonno rosso, grosse trance in fila fanno bella mostra di se. Ne approfittiamo per acquistarne un poco, lo mangeremo per cena. 

    Il mercato del pesce
            Cerchiamo di scattare qualche foto, una signora inquadrata da Vittorio inveisce contro di lui, non vuole essere ripresa; non sapevamo che da queste parti le donne specialmente se “mascherate” non vogliono essere fotografate. Cambieremo tattica, teleobiettivi o camere nascoste, il risultato sarà quasi lo stesso. Proseguiamo la visita in “ordine sparso”, io mi intrattengo con alcune ragazze mentre Vittorio molto discretamente prosegue con i suoi scatti.

     La signora, si è un poco arrabbiata

Scambio di saluti

            Le strade adiacenti si aprono con altre mercanzie, stoffe variopinte mosse dal vento danno un tono folkloristico allo scenario. Molti i commercianti, moltissimi gli acquirenti, le contrattazioni sono animatissime ma tutte con il sorriso sulle labbra. Ogni strada o viuzza ha la propri articoli, una sistemazione settoriale che probabilmente aiuta chi vuol fare compere senza fare giri inutili. 

I mille colori del bazar

            Entriamo in una piazzetta, qui è concentrata la vendita di verdure ed ortaggi in gran quantità. Devo dire che tutta la merce ha un bellissimo aspetto, e la freschezza è evidente; ne approfittiamo per comperare un po’ di pomodori. 

La venditrice di pomodori

            Ogni tanto veniamo avvicinati da alcune signore che molto discretamente ci chiedono qualcosa, dal loro abbigliamento e dal colore della pelle, si nota che non sono iraniane, vestono con colori vivaci dalle rifiniture in oro; dovrebbero essere pakistane o afgane scappate dal loro paese dalla guerra o dal terrorismo. Anche gli iraniani hanno i loro extracomunitari. 

Un sorriso accattivante

            Anche oggi la giornata è abbastanza calda, quando ci ritiriamo nel camper notiamo che diverse persone per trovare refrigerio, riposano all’ombra della nostra “casetta” e di un pullman poco distante.
            Durante il pranzo, con la finestra della “dinette” di fronte al mare, come da un grande televisore, guardiamo scene che per noi occidentali sono alquanto insolite, ragazze che si bagnano nel mare azzurro completamente vestite, poco più in là uomini e ragazzi in costume, mentre una coppietta vestita passeggia nell’acqua fino ai polpacci. 


            In Iran, non è possibile per uomini e donne fare il bagno insieme in costume, neanche i padri con le proprie figlie se non in tenera età; esistono stabilimenti balneari esclusivamente femminili, celati dall’esterno e, limitati dentro il mare con palificazioni ed altissimi teli colorati. 

 Sbarramento visivo

            Vittorio, anche lui vuole immergere le caviglie nell’acqua salata, io non ne ho voglia. Con questo caldo non mi va di rimettermi il “mantò” ed il fazzoletto, mi limiterò con la telecamera a riprendere alcune scene dal camper. Intere famiglie passeggiano sul bagnasciuga, le donne con chador leggeri portano i figli piccoli a fare il bagno, bagnandosi anch’esse. 

Una famiglia al mare

Nel tardo pomeriggio torniamo tra le vie del mercato, adesso la temperatura è più mite e si passeggia bene tra i piccoli negozi, la gente è sempre cordialissima, spesso si fermano a parlare con noi. Qui i viaggiatori sono rari, e di turisti nemmeno a parlarne.
La giornata è terminata, domani ci trasferiremo a Minab per il “panjshanbé bazar” ovvero il mercato del giovedì. In questo mercato settimanale confluiscono moltissimi abitanti dei paesi e dei villaggi vicini, è rinomato per la sua diversità di oggetti in vendita, dalle verdure al pesce, dai fiori finti alle motociclette usate.
Anche questa notte e trascorsa tranquilla, non abbiamo neanche sentito il richiamo alla preghiera del muezzin delle cinque. Appena consumata la colazione, lasceremo la città.
            Sul lungo viale che si porterà sulla statale, notiamo una sfavillante moschea ricoperta di maioliche color turchese. Scendiamo dal camper per scattare qualche foto, stando bene attenti a non riprendere un orrendo cavalcavia pedonale in ferro dipinto di rosso vicinissimo alla moschea. 

Una delle moschee di Bandar Abbas

            Tra noi ed il grande portale si è interposto un uomo, che in modo serioso ci ha domandato:
« Dine shoma chi ast? Mosalman hastid ya kattolico? » (Lei di che religione è? Musulmano o cattolico?). E Vittorio con altrettanta decisione ha risposto con il suo discreto persiano:
 « Man kattolico hastam va shoma mosalman hastid, mohem nist, baraye inke khoda yeki ast! » (Io sono cattolico e lei è musulmano, questo non è importante, perché Dio è Uno!
A questo punto a quella persona dall’aspetto austero gli è spuntato un gran sorriso, e ci ha accompagnato fin dentro la moschea. Brava Shiva (la nostra insegnante di farsi), quattro mesi di corso sono stati spesi bene.
            L’interno del tempio è ricoperto di coloratissime maioliche come la sua cupola, un vero capolavoro. Sul pavimento bellissimi tappeti dai motivi floreali che invitano alla preghiera. 

La cupola della moschea

            Ci lasciamo alle spalle Bandar Abbas e ci inoltriamo verso l’interno. Siamo a circa cento chilometri dalla cittadina di Minab, domani visiteremo il caratteristico mercato.
            Il traffico è moderato, ed il fondo stradale è buono. Dopo qualche chilometro il nostro cammino viene rallentato da un incidente stradale; c’è una persona distesa in terra ed una vettura vicino con il vetro rotto. Da sempre abbiamo avuto l’impressione che in Iran guidano veramente male.
            Arriviamo a Minab verso le quindici, la temperatura è abbastanza elevata e ci dirigiamo subito al “Turist Inn” un piccolo albergo immerso in un parco comunale. Un giardino pieno di fiori ed un intenso profumo di zagare. Siamo fortunati, la piazzola dell’anno scorso è libera, si trova in mezzo a quattro alberi che con i lunghi rami terranno la “casetta in fresco” per quello che sarà possibile. Il direttore ci viene incontro, si ricorda di noi ci saluta calorosamente dicendo che ci aspetterà questa sera alle ventuno per la cena. 

Il parcheggio al Turist Inn

            Apriamo tutte le finestre per arieggiare il camper, d’altra parte durante il trasferimento abbiamo trovato vento di sabbia per cui siamo stati costretti a viaggiare con i finestrini chiusi. L’aria condizionata in cabina non riesce a rinfrescare la cellula ed in marcia non è possibile far funzionare il condizionatore.
            Non appena la sistemazione è fatta, iniziamo un piccolo giro per la città in attesa della cena. In una via laterale ci imbattiamo il un piccolo mercato, deve essere un anticipo di quello che sarà domani. Anche questi punti vendita all’aperto rassomigliano ai tanti mercati che ci sono a queste latitudini; ma questi bazar sono sempre piacevoli, autentici, non turistici. È quasi l’ora del tramonto, ma ancora c’è luce per riprendere alcune istantanee. Per non creare problemi, non porteremo le grandi fotocamere un po’ ingombranti e difficili da camuffare, useremo soltanto la piccola nikon con il telecomando.
            Il terreno è cosparso di ghiaietto, e sopra di esso grandi stuoie e stoffe per accogliere le varie mercanzie. Eccetto qualche eccezione, i commercianti sono donne, quasi tutte con il volto coperto dalla mascherina da dove spuntano grandi occhi neri e penetranti. Sotto la maschera parte del viso è coperto come da un passamontagna, mi sembra pesante, una signora mi permette di toccarla e ne ho la certezza.

Occhi penetranti

            Anche qui la merce è varia, per lo più stoffe e vestiti, ma anche i casalinghi ed infine tanta frutta e verdura. Una donna in attesa di clienti fuma tranquillamente il suo narghilè,

Una "fumatina" in attesa avventori

            Il sole è tramontato, è l’ora di rientrare. Il giardino, con la leggera umidità della sera ha accentuato i suoi profumi.

Il parcheggio di notte

            Il mattino seguente accompagnati da un taxi arriviamo “panjshanbé bazar”, un vastissimo terreno dove sotto ombrelloni o precarie baracche di canne, venditori di tutto i paesi limitrofi si riuniscono per vendere i propri prodotti; la giornata è assolata e limpida, anche se ogni tanto una folata di vento alza del gran polverone.
            Anche se abbastanza presto, c’è già una grande affluenza di gente che va e viene, i primi banchi che incontriamo vendono fiori finti, nelle case iraniane ne abbiamo visti molti, poi un alternanza continua tra le merci più svariate; una lunga fila di stoffe brillano con  i loro ricami dorati. 

Le preziose stoffe

         Le venditrici ci guardano con i loro occhi profondi, non sapremo mai se la loro curiosità è superiore alla nostra.

Differente modo per coprirsi il volto

            Poco più avanti, i banchi si infittiscono come pure la moltitudine di persone che camminano nel bazar; incontro delle bambine mi faccio una foto con loro, poi due di esse mi permettono di fotografarle.

Si mettono in posa per noi

            La passeggiata continua e la confusione è molta. Ogni tanto con Vittorio ci perdiamo di vista, ognuno di noi è alla ricerca delle proprie inquadrature; ci siamo detti che il punto di ritrovo era vicino al muretto d’ingresso. Mi sento un po’ frastornata, forse anche per il caldo e la sete. C’è qualche venditore di bibite, sono dolcissime, cerco dell’acqua ma non la vendono; poco distanti delle signore si stanno dissetando da una cannella che esce dal terreno, ne approfitto anch’io.

Il caldo si fa sentire

            La parte del mercato più interessante a mio avviso è l’ortofrutticolo, il più colorato ed il più animato. Le contrattazioni si confondono con i richiami per reclamizzare i freschi prodotti della terra; c’è un gran fermento, ottimo soggetto da fotografare. 

C'è un gran fermento

            Vittorio, prima di tornare verso l’uscita del mercato, fotografa una venditrice di patate, si rivelerà uno scatto fortunato, perché quella foto successivamente, sarà premiata dalla F.A.O. aprendo come numero uno, una mostra fotografica internazionale indetta da questa istituzione.

La venditrice di patate

            E’ quasi l’ora di pranzo quando ci allontaniamo dal mercato, a piedi arriviamo ad una piazza dove c’è un telefono pubblico, vogliamo avere notizie dall’Italia. Anche sotto agli ombrosi portici, le bancarelle si susseguono.
            Un nuovo taxi ci riporta al Turist Inn, nelle vicinanze del camper c’è un piccolo parco giochi comunale, alcune bambine appena uscite da scuola ne approfittano gioiose.

Giochi semplici
            La visita a Minab è terminata, domani lasceremo il golfo persico. Altri luoghi interessanti ci attendono. Abbiamo saputo di una nuova strada che taglia in due uno dei deserti iraniani, per arrivare quasi al confine dell’Afganistan, E’ li che siamo diretti.


                                                                                             Anna Maria Rosati

sabato 7 settembre 2013

                                            Mauritania 2
                                                  Le oasi di Terjit e di Chinguetti

            Questa mattina, oltre alle nenie dei muezzin ed alcune auto che hanno lasciato il campeggio, la sveglia ha suonato abbastanza presto. Il lungo trasferimento di oggi ci porterà da Nouakchott ad Atar. Nei prossimi giorni visiteremo le oasi di Terjit e di Chinguetti. 

    Seimila chilometri per arrivare all'oasi di Chinguetti

            Per uscire dalla città ci sono un poco di problemi, un traffico caotico ed indisciplinato, grandi e vecchie mercedes si contendono la strada con altrettanti vecchi carretti. Il tutto, lungo un ampio viale, dove un eterno cantiere ci costringe a cambi di corsia, con delle gincane tra sabbia e sassi.
            Finalmente siamo fuori dal caos, una polverosa periferia sempre meno popolata, ha lasciato il posto a piccole case quadrate, sono poco più che baracche abitate dai guardiani di dromedari che gestiscono sparute mandrie di questi simpatici animali. 

    Dromedari mehari, dal classico colore bianco

            A pochi chilometri dalla città iniziano i primi checkpoint, i controlli dei nostri passaporti ed i documenti del camper. Tra gendarmeria, dogana e polizia anche oggi gli accertamenti non saranno pochi.
            La giornata si presenta grigia, tutto intorno il territorio è il tipico deserto pre-sahariano, a volte piatto, altre volte con piccolissime dune ed alcuni ciuffi d’erba che danno sostentamento a gruppi di dromedari sempre più numerosi. Le tende dei nomadi ed una famiglia in cammino, ci dicono che questa è terra di transumanza.

    La famiglia in movimento

A volte, i lavori stradali ci obbligano a lasciare la strada e transitare su piste polverose tra alberi rinsecchiti ed animali bradi che ci guardano incuriositi.
Appena superata la cittadina di Atar, ci fermiamo per il pranzo, abbiamo preferito superare il centro abitato peraltro desolato, per avere un po’ di tranquillità.
Ripreso il cammino e dopo diversi chilometri di desertica pianura, all’improvviso in lontananza vediamo stagliarsi verso il cielo una irta collina di colore bruno. Poi un susseguirsi di falesie, una serie di altopiani che rompono la monotonia del paesaggio. 

Inizia l'altopiano

In mezzo a quei picchi rocciosi c’è l’oasi di Terjit, è li che siamo diretti. Per arrivarci non esiste strada, soltanto una pista apparentemente compatta, ma solo apparentemente, infatti affondiamo dentro un avvallamento di finissima sabbia.

La pista per arrivare all'oasi

 Proviamo ad indietreggiare, senza nessun risultato. Un viaggiatore con il suo fuoristrada ci viene in soccorso, gli forniamo il cordino di acciaio; deve essere molto pratico perché con una semplice manovra e senza strappi, ci tira fuori dall’impasse.

Qualche colpo di pala ed un piccolo "strappo"

La pista prosegue per otto chilometri, un continuo sali scendi, siamo circondati dai plateau con grandi dune che scendono dalle rocce. Un bellissimo paesaggio reso affascinante dai caldi colori del tramonto. 

E' quasi il tramonto

Arrivati alle porte del villaggio di Terjit, ci dobbiamo fermare, non possiamo andare oltre. Da questo punto la pista è troppo morbida, per un mezzo così pesante come il nostro, non può proseguire. Siamo immediatamente circondati da diversi bambini, ne continuano ad arrivare altri che ci corrono incontro scalzi, speriamo non tirino sassi contro il camper.  


L'arrivo dei bambini curiosi

Il lancio dei sassi addosso ai camper da parte dei bambini, è una pratica discretamente presente in quasi tutti i paesi africani, specialmente quelli più visitati dai turisti.
Il fenomeno è sicuramente iniziato da quando alcuni pseudo viaggiatori, credendo di fare una cosa giusta, hanno incominciato a distribuire caramelle e dolcetti vari; ma per quante caramelle vuoi portare, i bimbi sono sempre di più, per cui alla fine c’è la tristezza di chi ne rimane senza.
Il fatto si ripresenta ad ogni ritorno dei turisti, può capitare che non si ha nulla da regalare, questo a volte per le piccole menti, viene preso come “uno sgarbo” da cui la reazione delle sassaiole.
Con questo non vogliamo spaventare nessuno, soltanto avvertire  che son cose che potrebbero succedere. L’Africa è anche questa.
Il sole sta per tramontare, c’è ancora chiarore, un uomo del posto ci fa parcheggiare dentro un recinto privato dove i bambini non possono entrare. Rimangono fuori tutti in fila a guardarci, siamo motivo di attrazione. 

 Un momento sempre suggestivo

Il recinto per pernottare

Tutto attorno a noi modeste case con i tetti di paglia, bassi muretti a secco segnano il confine tra le semplici proprietà. In questo villaggio non esiste luce elettrica e, il buio della sera ha richiamato tutti gli abitanti nelle proprie dimore. Qui regna la quiete più assoluta,  il silenzio è rotto ogni tanto dal belare degli agnellini che reclamano la loro razione di latte.

La "periferia" del villaggio

La serata è fresca, ci rilassiamo dopo la moderata tensione odierna, generata per la guida sulla pista. Questa sera una buona spaghettata, non ce la leverà nessuno.
La notte è trascorsa tranquillamente, in questo piccolo villaggio non c’è neanche la moschea che in altri luoghi ci svegliano con i richiami alle preghiere. Il paesaggio, nonostante sia lo stesso di ieri, cambia con la diversa prospettiva del sole, ed il massiccio montuoso davanti a noi, ci mostra tutte le tonalità dei rossi e dei neri. 

Un tamerice piegato dal vento

Al mattino, la vita nel villaggio inizia a vivacizzarsi, non vediamo i bambini più grandi, forse loro sono già a scuola, mentre i più piccolini sono in giro con i piedini nudi.  

Classiche capanne del villaggio

Dopo colazione ci incamminiamo a piedi verso una fonte naturale all’interno di un rigoglioso palmeto, stiamo entrando nell’oasi di Terjit, incastonata tra falesie rocciose.

Grandi palme da dattero  

 Il verde brillante delle palme contrasta con il rosa delle dune che scendono dai plateau. Il sentiero si snoda in salita tra bassi muretti e un limpido ruscello che di tanto in tanto crea dei piccolissimi laghetti come le guelta algerine.

All'interno dell'oasi

Come il viottolo si allarga un poco, alcuni venditori di souvenirs offrono la loro mercanzia; un artigianato semplice, per lo più statuette lignee o collanine come oramai si vendono in tutti i mercatini occidentali. 

  Artigianato locale

Quando arriviamo alla fonte c’è una sorpresa, dalla montagna sgorgano due sorgenti, una di acqua fredda ed una di acqua tiepida che si uniscono dando vita al ruscello. Una specie di grotta ricoperta di vegetazione genera un continuo stillicidio di piccole gocce, evidentemente qui intorno ci sono più vene d’acqua. 

La vegetazione è fittissima

Nello spiazzo antistante alla sorgente, sono allestite un paio di tende, nel loro interno ci si può ristorare con un buon tè e starsene sdraiati all’ombra. Ne approfittiamo per distenderci sui materassini sorseggiando l’infuso.

  Un po' di relax

Terjit è una classica oasi, una sorgente sgorga tra la spaccatura rocciosa dei due altopiani, unica fonte di vita per un palmeto nato in mezzo a centinaia di chilometri di aridità. Forse una delle poche cose turistiche che la Mauritania può offrire. 
       
   Il piccolo accampamento

               Una palma si è piegata su se stessa per poi rialzarsi verso la luce, cerchiamo di fotografare la zona da diverse angolazioni, il luogo è suggestivo sembra un set cinematografico, anche il terreno non ha un granello di sabbia fuori posto.
            Dopo esserci ristorati prendiamo la via del ritorno, ormai è tutto in discesa. Camminando, lo sguardo va oltre i muretti, nei cortili le solite scene agresti che si ripetono in tutto il mondo, senza distinzione per il colore della pelle; chi zappetta in terra, chi semina e chi macina i cereali. Lavoro duro quello dei contadini. 

 Sabbie colorate
            Ritorniamo sul camper per l’ora di pranzo, adesso l’aria si è riempita di sabbia in sospensione, meno male che la maggior parte delle foto le abbiamo fatte ieri, da adesso in poi sarebbero venute offuscate.
            Dobbiamo rifare la stessa pista per tornare ad Atar, questa sera dovremmo pernottare nel camping “Bab Sahara”, coordinate GPS  N 20° 31’ 12,5”  W 13° 03’ 38,5”.
            Il percorso a ritroso sembra meno duro, non abbiamo fretta, un po’ di prudenza in più per le grandi buche da affrontare. Dopo qualche chilometro ci ritroviamo nel punto dell’insabbiamento dell’andata, Vittorio ferma il camper e va a testare la consistenza della sabbia con i piedi; intravedo da un suo gesto di disappunto che non sarà facile andare oltre senza un aiuto. 

Il controllo della tenuta della sabbia

            Prende una buona rincorsa, e mordendo la sabbia con ripetute sterzate e controsterzate, riesce ad oltrepassare l’ostacolo, piantandosi ad un metro dalla pista più dura. Anche qui, con l’aiuto di un fuori strada, ne usciamo fuori.
            Arriviamo ad Atar nel pomeriggio, ci sistemiamo nel campeggio, approfitto dell’abbondanza d’acqua per fare un po’ di bucato, mentre Vittorio controlla e spedisce qualche E-mail. 
   Il camping “Bab Sahara

            In questa città faremo base per l’escursione a Chinguetti, un’antica cittadina immersa nel deserto protetta dall’UNESCO, che oltre ad avere una delle moschee più vecchie di questa parte d’africa, è anche sede di una delle più antiche biblioteche con preziosissimi manoscritti.
            Dalle informazioni ricevute, veniamo a sapere che gli oltre settanta chilometri di strada che ci dividono da Chinguetti non sono asfaltati ad eccetto di un breve tratto. A questo punto decidiamo di prendere un fuoristrada con autista e lasciare il camper nel campeggio.
            La mattina dopo di buon’ora lasciamo Atar, questa sera non torneremo al campeggio. L’escursione è stata programmata con un pernottamento in tenda berbera tra le dune; oltre la cena sono previsti anche suoni, canti e balli locali. Il tutto molto estemporaneo e poco turistico.
            La pista è molto larga, ma il fondo è un continuo “tôle ondulée”  che crea numerosi salti alla macchina e, soprattutto a noi. In lontananza tra il fesh fesh sollevato dal vento, si intravedono dei picchi montuosi. La strada inizia a salire in ripide curve a gomito, per fortuna è iniziato l’asfalto, un po’ di sollievo per la mia schiena.

Il terribile "tôle ondulée”

            Saliamo fino al passo Nouatil c.a. 700 mt s.l.m.. La strada, nonostante transiti a mezza costa, si affaccia sopra un canyon molto profondo, sopra di noi una parete rocciosa si affaccia pericolosamente sui tornanti. Il panorama è affascinante, un po’ meno lo sono le raffiche di vento che portano folate di sabbia. 

Ripidi tornanti

            Tornati in pianura lo scenario torna nuovamente piatto e brullo, rara la vegetazione, soltanto rari alberi di acacia sparsi qua e la. Insieme al deserto è tornata la pista con i suoi sobbalzi. Dopo un lungo rettilineo ci fermiamo davanti ad un blocco in muratura per una foto, sopra vi è dipinta la scritta che siamo arrivati alla città di Chinguetti, patrimonio dell’umanità. 

Arrivati a Chinguetti

            Al suo ingresso, la città si presenta in tutta la sua desolazione, la viabilità, le strade e i vicoli sono parzialmente insabbiati, percorribili solo con i fuoristrada, costruzioni basse mai ultimate, un eterno cantiere. Forse questa è soltanto la periferia, vedremo domani.
            Alle ore undici, ci fermiamo in un piccolo hotel “La rose des sables”, semplice ma ben tenuto. Il proprietario ci da il benvenuto offrendoci del tè. Poco dopo arriva un signore anziano, vestito da arabo con tanto di shesh sulla testa, si chiama Jan; è francese, si è trasferito qui da dodici anni.  Ci dice che quando era in Francia era pieno di “acciacchi” e imbottito di medicine, da quando vive a Chinguetti ha buttato via i farmaci e di vivere felice con i suoi dromedari. Ci troviamo un una sala, in attesa dell’ora del pranzo, non ci sono mobili, soltanto dei materassini adagiati in terra e grandi cuscini, ci si sdraiamo sopra per rilassarci. 

In attesa del pranzo

            Fuori tira un vento freddo, anche qui arriva il grande freddo dal nord, d’altra parte in questi giorni a Roma sta nevicando.
            Verso le quattordici ci portano il pranzo, riso con verdure e del pollo, tutto buono. Il relax continua nell’attesa che il vento si calmi.

 Riso, pollo e pomodori

           Nel pomeriggio facciamo una passeggiata, tutte le case sono in pietra viva, spesso sembrano il residuo di un recente bombardamento, muretti di recinzione mezzi diroccati sormontati dalla sabbia. È il deserto che reclama il suo territorio. Per oggi abbiamo visto abbastanza, è meglio rientrare nel piccolo albergo.
            All’imbrunire sempre con il fuoristrada ci accompagnano dove sono state allestite le tende per la notte. Il luogo è oltre l’ouadi, un largo letto di un fiume in secca, che divide la città nuova (la parte decisamente brutta), con il quartiere antico dove si trova la moschea e la biblioteca. Sopra l’argine dell’alveo, alle falde di una grande duna, le due tende bianche spiccano sul colore della sabbia, di fianco sotto un grande albero di tamerice un uomo sta arrostendo un capretto per noi. 

     La grigliata
            All’interno della nostra tenda, comoda da starci in piedi, ha come soffitto un secondo telo, un patchwork dai colori vivaci, ci sono già cuscini e coperte, però per sicurezza ne chiediamo delle altre.
La cottura del capretto si prolunga anche per la scarsità di brace e forse per i pezzi di carne troppo grandi, nel frattempo arrivano delle signore che dopo aver adagiato delle stuoie su terreno hanno “apparecchiato la tavola”, poi con semplici strumenti iniziano a suonare ed a cantare. Sono vestite eleganti con i loro abiti più belli di stoffa leggera, una giovane donna ha portato con se anche un bambino, poco più che un neonato. 

Tamburi e stoviglie 

Noi siamo vestiti pesanti, ci chiediamo come loro non sentano il freddo pungente. L’arrosto è pronto e ci viene servito con porzioni enormi. Il sapore è buono ma la carne è dura, non ha avuto il tempo di “frollare” essendo stata macellata da poche ore.
I canti continuano con una nenia modulata, vengono ripetute sempre le stesse quattro parole ma in modo piacevole ed armonioso. Gli strumenti sono un tamburo ed una bacinella di metallo sapientemente percossi.
Terminata la cena e tolta la tovaglia, la grande stuoia funge da base per i balli improvvisati. Hadrami la nostra guida, inizia a danzare seguito dal cuoco e da alcune signore. Balli e canti continuano, se non fosse per il freddo sarebbe piacevole partecipare. Con molto dispiacere mi ritiro sotto la tenda e mi metto tra coperte e pagliericcio, il freddo mi attanaglia.

  Sono iniziati i balli

Sento ancora la musica per diverso tempo, ma almeno sono al caldo, però non ho sentito Vittorio quando si è coricato. 

 L'interno della tenda

La nuova giornata si presenta chiara e senza nuvole, prima di lasciare il campo facciamo qualche foto alle dune leggermente rosate da un sole ancora basso. Poi, sempre con il fuoristrada torniamo al piccolo hotel per la colazione. Nella saletta di ieri, sopra un tavolinetto basso c’è di tutto; dal pane, alle marmellate; dal burro, al tè e, per chi vuole, anche del nescafé; tutto molto buono. 

L'interno del piccolo hotel sahariano

Questa mattina è prevista la visita della parte vecchia della città, finalmente avremo la possibilità di vedere qualcosa di bello, almeno lo spero. Attraversato a piedi l’ouadi, a questo punto il sole si è alzato, come si è alzato il vento che gonfia gli abiti ai viandanti. 

Vento e sabbia in sospensione

Nel camminare lungo una strada contornata da basse case multicolori, vengo avvicinata da un gruppetto di giovani ragazze che mi vogliono vendere dei souvenirs. La contrattazione termina davanti al modesto ingresso della biblioteca, con la promessa di rivederci all’uscita.

Le ragazze in attesa

Un basso passaggio ci conduce in un cortile dove si affaccia l’Habbott, l’antica collezione di libri. Ci accoglie Abdullah, un signore con un bel vestito tradizionale che inizia a mostrarci gli antichi testi scritti con caratteri minuscoli, li sfoglia con delicatezza indossando sensibilissimi guanti bianchi. I libri spaziano tra le materie più varie, trattano di matematica, astronomia, scienza ed altro. Si esprime in francese, deve essere anche una persona di cultura per avergli affidato una collezione di libri così delicata.
All’uscita, le giovani venditrici di cianfrusaglie mi circondano di nuovo, compro un ricordino in cambio di alcune foto fatte insieme. 

Nonostante il sole il freddo è pungente

Il tour cittadino continua tra le strette viuzze, case semplici con piccoli cortili. Dietro un edificio svetta un minareto quadrato, la struttura più alta della città, alla base un ampio cortile con un chiostro con tanti archi; è la moschea del XVI secolo, la possiamo vedere solo da fuori, non è accessibile ai non musulmani. 

L'antica Moschea

Non trovando più niente di interessante torniamo in albergo, è quasi ora di pranzo, puntuale arriva un buon cus cus integrale con verdure e carne. Vittorio lo mangia … ma storce il naso.
Quando arriva la macchina che ci riporterà ad Atar siamo già pronti. Il ritorno al campeggio Bab Sahara lo facciamo con tutta calma per evitare i grossi scossoni al fuoristrada ed a noi.
Troviamo il camping pieno di macchine di escursionisti, un equipaggio viene addirittura dall’Australia da dove partirono cinque anni prima. Gli do’ una rapida occhiata, poi la stanchezza prende il sopravvento, anche oggi abbiamo camminato molto, mi ritiro nel camper a riposare.
          Considerazione personale sulla città di Chinguetti
Una località dimenticata dagli uomini, un luogo isolato ai margini del grande deserto di Adrar.
La popolazione sembra serena, ma per noi che veniamo da un mondo dove c’è tutto ed anche il superfluo, ci sembra impossibile vivere tra sabbia e rifiuti che soffocano le strade, perché qui, nessuno li rimuove.
La città è stata definita “la settima città santa” anche se non ne abbiamo capito il motivo, forse per un remotissimo e grande passato di centro carovaniero, ma con l'avanzata della desertificazione ha perso ogni importanza. Le uniche due cose che meritano una visita sono le biblioteche e la moschea.
Insomma, una realtà che mi ha molto intristito, una stretta al cuore pensando alle persone che ci abitano; ai bambini, quali prospettive li attendono? Qui c’è solo sabbia, vento, freddo e forse povertà. Pensavo di aver conosciuto la desolazione dopo aver visitato Ksar Ghilane in Tunisia, ma alla luce dei fatti il peggio non finisce mai.

                                                          Anna Maria Rosati