lunedì 3 settembre 2012


                                      Una visita al Nemrut Dagi

            Con questa breve narrazione di viaggio in terra di Turchia, voglio raccontare di quando con il nostro camper,  siamo saliti sul monte Nemrut, ad oltre duemila metri di quota.

 La lunga strada percorsa tante volte

            Lasciamo la città di Kaiseri, un caldo pomeriggio di metà settembre. Questa sera arriveremo a Katha, la cittadina che useremo come base di partenza per salire sul Nemrut Dagi.
            Stiamo attraversando una vallata stupenda, il percorso si snoda tra colline verdeggianti e monti color ocra. Lungo la strada c’è un anziano signore con un bel faccione che fa l’autostop. Lo facciamo salire, ha con se una grossa accetta, ci fa notare che la deve far riparare perché il manico si è rotto. È simpatico, parla in continuazione, forse non si rende conto che noi non parliamo la lingua turca. 

La bellissima natura dell'altipiano anatolico

            Fuma molto, offre anche a noi le sue sigarette. È seduto davanti, vicino a Vittorio, forse non sarà mai salito su di un camper. Da dietro lo guardo, ha la barba lunga ed un cappello con le falde flosce, la classica figura del vecchio nonno di campagna. Continua a parlare, ci comprendiamo a gesti ed, a gesti ci fa capire che è arrivato a destinazione. Lo lasciamo nel paese di Pinarbesi, nei pressi di un cantiere.
            Il panorama continua con i suoi caldi colori di un precoce autunno, ai lati della strada la fertilissima campagna è piena di alberi da frutta, i loro rami sono carichi di mele dai pigmenti rosa. Ad intervalli regolari, alti filari di betulle dai bianchi fusti, ne dividono le proprietà. La strada inizia a salire leggermente, da questa prospettiva i terrazzi delle case si accendono di un color oro, sono carichi di albicocche messe al sole ad essiccare.

I tetti delle case cariche di albicocche

            Il cammino si fa ruvido quanto la salita. Le strade turche di montagna, forse a causa del gelo sono di un asfalto grezzo e grossolano, da mettere a dura prova le migliori marche di pneumatici. Il valico si trova a mille e novecento metri di altitudine. Siamo nella parte sud-est dell’Anatolia, il vastissimo altopiano della Turchia centrale.
            Da questo passo lo scenario e suggestivo, in lontananza una lunga catena di alti monti che arrivano a quattromila metri. In Turchia, sulla grande viabilità anatolica, ponti, viadotti e gallerie, sono rari; la strade seguono il profilo dei monti. Ripide salite a sfiorare i tremila metri, con altrettante discese, un continuo saliscendi in mezzo a vallate verdeggianti.
            La zona è piena di fiumi grandi e piccoli che scendono di fianco alle strade di montagna. Da prima piccoli ruscelli, poi torrenti impetuosi dalle acque turchine fino ad allargasi per centinaia di metri. Ci troviamo nell’area bagnata dall’Eufrate ed, a circa duecento chilometri scorre anche il Tigri.

Torrenti dalle limpide acque

            Lungo le rive fotografiamo scene agresti, con famiglie vicine ai loro animali al pascolo, alcune ragazze con le gambe nell’acqua, battono la lana sui grossi ciottoli; altre, sciacquano i coloratissimi tappeti nella corrente del fiume, una festa di colori. 

 Mandrie al pascolo

Il lavaggio della lana

            La gente è tranquilla, i bambini si sbracciano nel salutarci al nostro passaggio, qualche adulto ci fa segno che vorrebbe una sigaretta. Le case che incontriamo in questa valle sono modeste, semplici dimore di campagna intonacate con paglia e fango. Sopra tutte svettano le antenne delle televisioni, a volte come palo di sostegno un ramo di albero contorto. Tutto questo è uno stridore con le nuove case e i grattacieli ultramoderni di Istanbul.
            Il sole sta tramontando, ci eravamo ripromessi di non viaggiare di notte, oggi faremo un’eccezione. Dobbiamo assolutamente arrivare e pernottare a Katha, domani prima dell’alba inizieremo la salita del monte Nemrut.
            Pernottiamo nel parcheggio di un albergo, sono le undici di sera, giusto il tempo per mangiare qualcosa e riposare un po’, tra poche ore, alle due del mattino ci avvieremo verso il sito archeologico del Nemrut Dagi.
         Il monte Nemrut (2150 mt), il più alto della zona, si trova al centro della catena del Tauro. Nella sua sommità si trova il mausoleo di Antioco I°, un generale di Alessandro Magno che dopo la  morte del giovane conquistatore e lo scioglimento del suo impero, regnò nella regione di Commagene intorno al 150 a C. Attualmente il sito è patrimonio dell’umanità, protetto dall’UNESCO 

Una ripresa dall'alto del tumulo tra i due templi

     La particolarità di questo mausoleo, sta nel fatto che furono costruiti due santuari uguali, distanti tra loro circa centocinquanta metri, il primo ad est per assistere il sorgere del sole, il secondo ad ovest per salutarlo al tramonto. Tutti e due terminano con una terrazza protesa verso il vuoto.
Per entrambi i templi sono state scolpite cinque grandi statue a blocchi, raffigurano gli dei ellenistici: Antioco I°; Tyche Commagene (la Dea della fortuna); Giove; Apollo ed Ercole. Aprono e chiudono la fila delle sculture maggiori, un aquila ed un leone di minore grandezza. Le statue, alte circa otto metri sono sedute, le teste mancano, nel corso dei secoli e dei numerosi terremoti sono cadute ai loro piedi. Con il restauro del sito (iniziato solo negli anni ’50), le teste sono state raddrizzate, questo le rende ancora più maestose, la loro altezza è di circa due metri, quelle con il copricapo sfiorano i tre metri. Credo che per scolpire questi monumenti, abbiano usato la roccia del luogo, creando di fatto un pianoro in cima al monte.
Lo scarto della lavorazione delle sculture è stato ammassato al centro tra i due templi creando in questo modo un tumulo, una collina dorata di cinquanta metri, ma molto friabile. Leggenda vuole, che Antioco sia sepolto sotto la collina insieme al suo famoso tesoro
Dietro la base di una statua, un epitaffio recita: « Io Antioco I°, re di Commagene, innalzo questo tempio a mia gloria e, degli Dei ». Questo la dice lunga sulla megalomania del personaggio. 



Una ricostruzione di un modellino di uno dei due templi
  
        La sveglia suona all’una e trenta, è come se mi fossi appena messa a letto.  Dopo fatto colazione, rassettiamo in fretta “la casa” e ci mettiamo in cammino. È una bella notte di luna piena con tante stelle. Questo tratto di strada è largo, ci sono pozzi di trivellazione con l’incessante movimento delle pompe, molte luci illuminano i campi petroliferi, sono come isole nella notte. 
            Ci avviciniamo al bivio che con una strada secondaria ci condurrà al Nemrut. La strada si restringe e la pavimentazione è in blocchetti di porfido abbastanza sconnessa. A metà del percorso ci fermiamo presso un locale, davanti ci sono altre vetture parcheggiate, sicuramente escursionisti che saliranno in cima. La nottata è fredda, un buon tè ci riscalderà. Al nostro tavolo sono seduti una coppia di giovani spagnoli, sono simpatici ed iniziamo a conversare. È ancora buio, forse ci siamo mossi troppo presto, ma non possiamo pensare di arrivare tardi all’appuntamento con il sole. Il locale è poco più di una bettola, poca luce ed il camino acceso. I vetri appannati ci indicano che fuori il freddo è intenso; rimaniamo ancora al caldo sorseggiando un buon tè.
            Ci muoviamo in contemporanea insieme agli altri avventori, e torniamo a salire. Alle cinque, parcheggiamo vicino l’ingresso del sito. Fuori c’è un forte vento gelido che taglia la faccia, Ci vestiamo da “alta montagna” con scarponcini da trekking, giacche a vento, cappelli di lana e guanti, La comodità del camper è avere a disposizione il vestiario adatto.         Prepariamo le macchine fotografiche e la torcia elettrica per illuminare il sentiero, dall’ingresso alla cima c’è da camminare una ventina di minuti.

Il sentiero illuminato dalla torcia elettrica

          Alcuni escursionisti salgono sopra gli asini che la gente del posto noleggia per la salita, noi preferiamo salire a piedi. Notiamo alcuni turisti non vestiti adeguatamente per il freddo, altri addirittura con le “espadrillas” e maglietta, sicuramente erano in un villaggio turistico sul mare, avranno prenotato questa escursione senza sapere quello che li aspettava. 
            Il sentiero è agevole, il vento è freddo da togliere il respiro, siamo stati i primi ad arrivare in cima. La grossa torcia illumina il piazzale antistante il tempio, poi pian piano con riverenza giriamo il fascio luminoso verso le statue, i grandi busti non riescono ad essere raggiunti dalla luce, mentre i volti degli Dei più vicini a noi, li distinguiamo benissimo, sono distanti tra di loro ed in ordine sparso. Proviamo a fotografarli tutti, i lampi del flash si susseguono ma anche questi non raggiungono il grosso del tempio.
            Iniziano ad arrivare coppie di visitatori, arrivano anche i ragazzi spagnoli del posto di ristoro, anche loro sono vestiti leggeri, ci facciamo una foto insieme, poi come altri si accucciano vicino le statue per ripararsi dalle fredde folate. 

I ragazzi spagnoli intirizziti dal freddo

            Siamo una ventina di persone ma soltanto io e Vittorio giriamo tra le grandi teste di pietra, poi anche noi nonostante il caldo abbigliamento cerchiamo un riparo. Il vento ti strappa dalle mani la macchina fotografica, è difficile anche a fotografare. 


 Ci si ripara alla meglio dal freddo

           In attesa del sole, scendo una piccola e ripida discesa fino ad arrivare ad una “baracca”. Entro, una luce fioca illumina alcuni tappeti appesi ai muri, poi souvenir e cartoline, ci sono anche quattro brande colme di tappeti, uno di questi “è vivente”, si muove, c’è un uomo che ci sta dormendo sotto; chiedo scusa per averlo svegliato, lui sorride. Qui è possibile prendere un tè, chiamo Vittorio e ci rifocilliamo con qualcosa di caldo.
            Inizia l’aurora e l’orizzonte si tinge di rosa. Quattro ragazzi per riscaldarsi improvvisano una danza. 


Ci si scalda ballando  

          Il colore tenue del cielo, diventa sempre più carico e le piccole nuvole si ornano di un’aureola luminosa. Il sole fa capolino, assisto ad uno spettacolo inusuale; all’orizzonte, la corona dei monti Tauro sono ad una quota più bassa della mia postazione. Non avevo mai visto nascere il sole sotto di me. 


 L'alba sul Nemrut Dagi

           Altra bellissima emozione sono state le grandi teste, mentre guardavo il nascere del sole ed il chiarore impadronirsi dell’area archeologica, ho avuto la netta sensazione di essere osservata. Mi sono voltata, dal buio i grandi “faccioni” di pietra, con i primi chiarori prendevano vita, sembravano muoversi, mostrando tutta la loro imponenza.
            La terrazza est dove ci troviamo, ha i reperti meglio conservati. Iniziamo a fotografare le grandi teste, non è facile perché il freddo intorpidisce le mani, dobbiamo spogliare i grossi guanti da sci che poco hanno a che fare con i minuscoli comandi delle reflex. Quasi tutti i volti hanno un lato rovinato, sicuramente dopo che il terremoto, che le ha fatte cadere su un fianco, la parte rimasta all’aria ha subito i danni dei secoli e delle intemperie. Penso agli artisti che hanno realizzato tutto questo, creando ogni figura con la propria personalità, la sua grinta o la sua dolcezza. 


I resti delle statue       

     Il sole timidamente inizia a riscaldare l’aria, ma il vento teso e gelido, seguita a falciare il monte, a tal punto che nel terreno non cresce un filo d’erba. I turisti rimasti al riparo fino ad ora, escono dalla loro “protezione” ed infreddoliti iniziano a far fotografie. Ci avviciniamo ai grandi busti, i blocchi che li compongono sono molto rovinati nelle giunture, ma la grandezza è evidente. 

 Una delle grandi teste

            Aggiriamo la collina, ci spostiamo sulla terrazza ovest che attualmente è la parte non illuminata. Questo sito, a meno che ci si vuol stare tutto il giorno, andrebbe visitato o all’alba come stiamo facendo noi, o al tramonto per ammirare questa meraviglia al calar del sole. Nonostante le statue siano in ombra, le fotografiamo tutte, anche i particolari. 


Le teste del tempio ad ovest 
           
            Ci muoviamo tra i reperti, si ha sempre timore di tralasciare qualcosa, ripetiamo le foto, non si sa mai. Ci facciamo qualche istantanea con l’autoscatto; il cavalletto, fedele compagno di viaggio, non sbaglia una foto. 



Il cavalletto fa sempre belle foto
       
  Torniamo nella terrazza est, praticamente siamo rimasti soli, evidentemente le visite guidate hanno un tempo ristretto poi, anche il freddo a contribuito a limitarne la permanenza. Adesso il sole è abbastanza alto, anche il vento di levante ha ridotto i suoi effetti. Non oso immaginare il clima invernale di questo monte, sferzato da venti gelidi provenienti dai Balcani.
            Il mausoleo è in piena luce. Ci sediamo un po’ per dare gli ultimi sguardi d’insieme. Siamo gli ultimi viaggiatori rimasti. Il vento non sibila più, nella zona è calato un silenzio assoluto, interrotto ogni tanto dai “cra cra” emessi da velocissimi corvi. 


    Il tempio ad est in piena luce
       
            L’escursione è terminata, ricorderò a lungo questa visita, un luogo unico nel suo genere, credo che Il Nemrut Dagi, valga da solo un viaggio in Turchia.
            Ciao Antioco, megalomane sovrano, forse un giorno torneremo, magari per ammirare il tuo sepolcro con la calda luce del tramonto.
                                                                                              Anna Maria Rosati


1 commento:

  1. che bel racconto e belle foto come sempre. Non avevo mai sentito nominare questo posto incredibile, e grazie per avermelo fatto visitare... al riparo sul divano di casa!!!

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