sabato 7 settembre 2013

                                            Mauritania 2
                                                  Le oasi di Terjit e di Chinguetti

            Questa mattina, oltre alle nenie dei muezzin ed alcune auto che hanno lasciato il campeggio, la sveglia ha suonato abbastanza presto. Il lungo trasferimento di oggi ci porterà da Nouakchott ad Atar. Nei prossimi giorni visiteremo le oasi di Terjit e di Chinguetti. 

    Seimila chilometri per arrivare all'oasi di Chinguetti

            Per uscire dalla città ci sono un poco di problemi, un traffico caotico ed indisciplinato, grandi e vecchie mercedes si contendono la strada con altrettanti vecchi carretti. Il tutto, lungo un ampio viale, dove un eterno cantiere ci costringe a cambi di corsia, con delle gincane tra sabbia e sassi.
            Finalmente siamo fuori dal caos, una polverosa periferia sempre meno popolata, ha lasciato il posto a piccole case quadrate, sono poco più che baracche abitate dai guardiani di dromedari che gestiscono sparute mandrie di questi simpatici animali. 

    Dromedari mehari, dal classico colore bianco

            A pochi chilometri dalla città iniziano i primi checkpoint, i controlli dei nostri passaporti ed i documenti del camper. Tra gendarmeria, dogana e polizia anche oggi gli accertamenti non saranno pochi.
            La giornata si presenta grigia, tutto intorno il territorio è il tipico deserto pre-sahariano, a volte piatto, altre volte con piccolissime dune ed alcuni ciuffi d’erba che danno sostentamento a gruppi di dromedari sempre più numerosi. Le tende dei nomadi ed una famiglia in cammino, ci dicono che questa è terra di transumanza.

    La famiglia in movimento

A volte, i lavori stradali ci obbligano a lasciare la strada e transitare su piste polverose tra alberi rinsecchiti ed animali bradi che ci guardano incuriositi.
Appena superata la cittadina di Atar, ci fermiamo per il pranzo, abbiamo preferito superare il centro abitato peraltro desolato, per avere un po’ di tranquillità.
Ripreso il cammino e dopo diversi chilometri di desertica pianura, all’improvviso in lontananza vediamo stagliarsi verso il cielo una irta collina di colore bruno. Poi un susseguirsi di falesie, una serie di altopiani che rompono la monotonia del paesaggio. 

Inizia l'altopiano

In mezzo a quei picchi rocciosi c’è l’oasi di Terjit, è li che siamo diretti. Per arrivarci non esiste strada, soltanto una pista apparentemente compatta, ma solo apparentemente, infatti affondiamo dentro un avvallamento di finissima sabbia.

La pista per arrivare all'oasi

 Proviamo ad indietreggiare, senza nessun risultato. Un viaggiatore con il suo fuoristrada ci viene in soccorso, gli forniamo il cordino di acciaio; deve essere molto pratico perché con una semplice manovra e senza strappi, ci tira fuori dall’impasse.

Qualche colpo di pala ed un piccolo "strappo"

La pista prosegue per otto chilometri, un continuo sali scendi, siamo circondati dai plateau con grandi dune che scendono dalle rocce. Un bellissimo paesaggio reso affascinante dai caldi colori del tramonto. 

E' quasi il tramonto

Arrivati alle porte del villaggio di Terjit, ci dobbiamo fermare, non possiamo andare oltre. Da questo punto la pista è troppo morbida, per un mezzo così pesante come il nostro, non può proseguire. Siamo immediatamente circondati da diversi bambini, ne continuano ad arrivare altri che ci corrono incontro scalzi, speriamo non tirino sassi contro il camper.  


L'arrivo dei bambini curiosi

Il lancio dei sassi addosso ai camper da parte dei bambini, è una pratica discretamente presente in quasi tutti i paesi africani, specialmente quelli più visitati dai turisti.
Il fenomeno è sicuramente iniziato da quando alcuni pseudo viaggiatori, credendo di fare una cosa giusta, hanno incominciato a distribuire caramelle e dolcetti vari; ma per quante caramelle vuoi portare, i bimbi sono sempre di più, per cui alla fine c’è la tristezza di chi ne rimane senza.
Il fatto si ripresenta ad ogni ritorno dei turisti, può capitare che non si ha nulla da regalare, questo a volte per le piccole menti, viene preso come “uno sgarbo” da cui la reazione delle sassaiole.
Con questo non vogliamo spaventare nessuno, soltanto avvertire  che son cose che potrebbero succedere. L’Africa è anche questa.
Il sole sta per tramontare, c’è ancora chiarore, un uomo del posto ci fa parcheggiare dentro un recinto privato dove i bambini non possono entrare. Rimangono fuori tutti in fila a guardarci, siamo motivo di attrazione. 

 Un momento sempre suggestivo

Il recinto per pernottare

Tutto attorno a noi modeste case con i tetti di paglia, bassi muretti a secco segnano il confine tra le semplici proprietà. In questo villaggio non esiste luce elettrica e, il buio della sera ha richiamato tutti gli abitanti nelle proprie dimore. Qui regna la quiete più assoluta,  il silenzio è rotto ogni tanto dal belare degli agnellini che reclamano la loro razione di latte.

La "periferia" del villaggio

La serata è fresca, ci rilassiamo dopo la moderata tensione odierna, generata per la guida sulla pista. Questa sera una buona spaghettata, non ce la leverà nessuno.
La notte è trascorsa tranquillamente, in questo piccolo villaggio non c’è neanche la moschea che in altri luoghi ci svegliano con i richiami alle preghiere. Il paesaggio, nonostante sia lo stesso di ieri, cambia con la diversa prospettiva del sole, ed il massiccio montuoso davanti a noi, ci mostra tutte le tonalità dei rossi e dei neri. 

Un tamerice piegato dal vento

Al mattino, la vita nel villaggio inizia a vivacizzarsi, non vediamo i bambini più grandi, forse loro sono già a scuola, mentre i più piccolini sono in giro con i piedini nudi.  

Classiche capanne del villaggio

Dopo colazione ci incamminiamo a piedi verso una fonte naturale all’interno di un rigoglioso palmeto, stiamo entrando nell’oasi di Terjit, incastonata tra falesie rocciose.

Grandi palme da dattero  

 Il verde brillante delle palme contrasta con il rosa delle dune che scendono dai plateau. Il sentiero si snoda in salita tra bassi muretti e un limpido ruscello che di tanto in tanto crea dei piccolissimi laghetti come le guelta algerine.

All'interno dell'oasi

Come il viottolo si allarga un poco, alcuni venditori di souvenirs offrono la loro mercanzia; un artigianato semplice, per lo più statuette lignee o collanine come oramai si vendono in tutti i mercatini occidentali. 

  Artigianato locale

Quando arriviamo alla fonte c’è una sorpresa, dalla montagna sgorgano due sorgenti, una di acqua fredda ed una di acqua tiepida che si uniscono dando vita al ruscello. Una specie di grotta ricoperta di vegetazione genera un continuo stillicidio di piccole gocce, evidentemente qui intorno ci sono più vene d’acqua. 

La vegetazione è fittissima

Nello spiazzo antistante alla sorgente, sono allestite un paio di tende, nel loro interno ci si può ristorare con un buon tè e starsene sdraiati all’ombra. Ne approfittiamo per distenderci sui materassini sorseggiando l’infuso.

  Un po' di relax

Terjit è una classica oasi, una sorgente sgorga tra la spaccatura rocciosa dei due altopiani, unica fonte di vita per un palmeto nato in mezzo a centinaia di chilometri di aridità. Forse una delle poche cose turistiche che la Mauritania può offrire. 
       
   Il piccolo accampamento

               Una palma si è piegata su se stessa per poi rialzarsi verso la luce, cerchiamo di fotografare la zona da diverse angolazioni, il luogo è suggestivo sembra un set cinematografico, anche il terreno non ha un granello di sabbia fuori posto.
            Dopo esserci ristorati prendiamo la via del ritorno, ormai è tutto in discesa. Camminando, lo sguardo va oltre i muretti, nei cortili le solite scene agresti che si ripetono in tutto il mondo, senza distinzione per il colore della pelle; chi zappetta in terra, chi semina e chi macina i cereali. Lavoro duro quello dei contadini. 

 Sabbie colorate
            Ritorniamo sul camper per l’ora di pranzo, adesso l’aria si è riempita di sabbia in sospensione, meno male che la maggior parte delle foto le abbiamo fatte ieri, da adesso in poi sarebbero venute offuscate.
            Dobbiamo rifare la stessa pista per tornare ad Atar, questa sera dovremmo pernottare nel camping “Bab Sahara”, coordinate GPS  N 20° 31’ 12,5”  W 13° 03’ 38,5”.
            Il percorso a ritroso sembra meno duro, non abbiamo fretta, un po’ di prudenza in più per le grandi buche da affrontare. Dopo qualche chilometro ci ritroviamo nel punto dell’insabbiamento dell’andata, Vittorio ferma il camper e va a testare la consistenza della sabbia con i piedi; intravedo da un suo gesto di disappunto che non sarà facile andare oltre senza un aiuto. 

Il controllo della tenuta della sabbia

            Prende una buona rincorsa, e mordendo la sabbia con ripetute sterzate e controsterzate, riesce ad oltrepassare l’ostacolo, piantandosi ad un metro dalla pista più dura. Anche qui, con l’aiuto di un fuori strada, ne usciamo fuori.
            Arriviamo ad Atar nel pomeriggio, ci sistemiamo nel campeggio, approfitto dell’abbondanza d’acqua per fare un po’ di bucato, mentre Vittorio controlla e spedisce qualche E-mail. 
   Il camping “Bab Sahara

            In questa città faremo base per l’escursione a Chinguetti, un’antica cittadina immersa nel deserto protetta dall’UNESCO, che oltre ad avere una delle moschee più vecchie di questa parte d’africa, è anche sede di una delle più antiche biblioteche con preziosissimi manoscritti.
            Dalle informazioni ricevute, veniamo a sapere che gli oltre settanta chilometri di strada che ci dividono da Chinguetti non sono asfaltati ad eccetto di un breve tratto. A questo punto decidiamo di prendere un fuoristrada con autista e lasciare il camper nel campeggio.
            La mattina dopo di buon’ora lasciamo Atar, questa sera non torneremo al campeggio. L’escursione è stata programmata con un pernottamento in tenda berbera tra le dune; oltre la cena sono previsti anche suoni, canti e balli locali. Il tutto molto estemporaneo e poco turistico.
            La pista è molto larga, ma il fondo è un continuo “tôle ondulée”  che crea numerosi salti alla macchina e, soprattutto a noi. In lontananza tra il fesh fesh sollevato dal vento, si intravedono dei picchi montuosi. La strada inizia a salire in ripide curve a gomito, per fortuna è iniziato l’asfalto, un po’ di sollievo per la mia schiena.

Il terribile "tôle ondulée”

            Saliamo fino al passo Nouatil c.a. 700 mt s.l.m.. La strada, nonostante transiti a mezza costa, si affaccia sopra un canyon molto profondo, sopra di noi una parete rocciosa si affaccia pericolosamente sui tornanti. Il panorama è affascinante, un po’ meno lo sono le raffiche di vento che portano folate di sabbia. 

Ripidi tornanti

            Tornati in pianura lo scenario torna nuovamente piatto e brullo, rara la vegetazione, soltanto rari alberi di acacia sparsi qua e la. Insieme al deserto è tornata la pista con i suoi sobbalzi. Dopo un lungo rettilineo ci fermiamo davanti ad un blocco in muratura per una foto, sopra vi è dipinta la scritta che siamo arrivati alla città di Chinguetti, patrimonio dell’umanità. 

Arrivati a Chinguetti

            Al suo ingresso, la città si presenta in tutta la sua desolazione, la viabilità, le strade e i vicoli sono parzialmente insabbiati, percorribili solo con i fuoristrada, costruzioni basse mai ultimate, un eterno cantiere. Forse questa è soltanto la periferia, vedremo domani.
            Alle ore undici, ci fermiamo in un piccolo hotel “La rose des sables”, semplice ma ben tenuto. Il proprietario ci da il benvenuto offrendoci del tè. Poco dopo arriva un signore anziano, vestito da arabo con tanto di shesh sulla testa, si chiama Jan; è francese, si è trasferito qui da dodici anni.  Ci dice che quando era in Francia era pieno di “acciacchi” e imbottito di medicine, da quando vive a Chinguetti ha buttato via i farmaci e di vivere felice con i suoi dromedari. Ci troviamo un una sala, in attesa dell’ora del pranzo, non ci sono mobili, soltanto dei materassini adagiati in terra e grandi cuscini, ci si sdraiamo sopra per rilassarci. 

In attesa del pranzo

            Fuori tira un vento freddo, anche qui arriva il grande freddo dal nord, d’altra parte in questi giorni a Roma sta nevicando.
            Verso le quattordici ci portano il pranzo, riso con verdure e del pollo, tutto buono. Il relax continua nell’attesa che il vento si calmi.

 Riso, pollo e pomodori

           Nel pomeriggio facciamo una passeggiata, tutte le case sono in pietra viva, spesso sembrano il residuo di un recente bombardamento, muretti di recinzione mezzi diroccati sormontati dalla sabbia. È il deserto che reclama il suo territorio. Per oggi abbiamo visto abbastanza, è meglio rientrare nel piccolo albergo.
            All’imbrunire sempre con il fuoristrada ci accompagnano dove sono state allestite le tende per la notte. Il luogo è oltre l’ouadi, un largo letto di un fiume in secca, che divide la città nuova (la parte decisamente brutta), con il quartiere antico dove si trova la moschea e la biblioteca. Sopra l’argine dell’alveo, alle falde di una grande duna, le due tende bianche spiccano sul colore della sabbia, di fianco sotto un grande albero di tamerice un uomo sta arrostendo un capretto per noi. 

     La grigliata
            All’interno della nostra tenda, comoda da starci in piedi, ha come soffitto un secondo telo, un patchwork dai colori vivaci, ci sono già cuscini e coperte, però per sicurezza ne chiediamo delle altre.
La cottura del capretto si prolunga anche per la scarsità di brace e forse per i pezzi di carne troppo grandi, nel frattempo arrivano delle signore che dopo aver adagiato delle stuoie su terreno hanno “apparecchiato la tavola”, poi con semplici strumenti iniziano a suonare ed a cantare. Sono vestite eleganti con i loro abiti più belli di stoffa leggera, una giovane donna ha portato con se anche un bambino, poco più che un neonato. 

Tamburi e stoviglie 

Noi siamo vestiti pesanti, ci chiediamo come loro non sentano il freddo pungente. L’arrosto è pronto e ci viene servito con porzioni enormi. Il sapore è buono ma la carne è dura, non ha avuto il tempo di “frollare” essendo stata macellata da poche ore.
I canti continuano con una nenia modulata, vengono ripetute sempre le stesse quattro parole ma in modo piacevole ed armonioso. Gli strumenti sono un tamburo ed una bacinella di metallo sapientemente percossi.
Terminata la cena e tolta la tovaglia, la grande stuoia funge da base per i balli improvvisati. Hadrami la nostra guida, inizia a danzare seguito dal cuoco e da alcune signore. Balli e canti continuano, se non fosse per il freddo sarebbe piacevole partecipare. Con molto dispiacere mi ritiro sotto la tenda e mi metto tra coperte e pagliericcio, il freddo mi attanaglia.

  Sono iniziati i balli

Sento ancora la musica per diverso tempo, ma almeno sono al caldo, però non ho sentito Vittorio quando si è coricato. 

 L'interno della tenda

La nuova giornata si presenta chiara e senza nuvole, prima di lasciare il campo facciamo qualche foto alle dune leggermente rosate da un sole ancora basso. Poi, sempre con il fuoristrada torniamo al piccolo hotel per la colazione. Nella saletta di ieri, sopra un tavolinetto basso c’è di tutto; dal pane, alle marmellate; dal burro, al tè e, per chi vuole, anche del nescafé; tutto molto buono. 

L'interno del piccolo hotel sahariano

Questa mattina è prevista la visita della parte vecchia della città, finalmente avremo la possibilità di vedere qualcosa di bello, almeno lo spero. Attraversato a piedi l’ouadi, a questo punto il sole si è alzato, come si è alzato il vento che gonfia gli abiti ai viandanti. 

Vento e sabbia in sospensione

Nel camminare lungo una strada contornata da basse case multicolori, vengo avvicinata da un gruppetto di giovani ragazze che mi vogliono vendere dei souvenirs. La contrattazione termina davanti al modesto ingresso della biblioteca, con la promessa di rivederci all’uscita.

Le ragazze in attesa

Un basso passaggio ci conduce in un cortile dove si affaccia l’Habbott, l’antica collezione di libri. Ci accoglie Abdullah, un signore con un bel vestito tradizionale che inizia a mostrarci gli antichi testi scritti con caratteri minuscoli, li sfoglia con delicatezza indossando sensibilissimi guanti bianchi. I libri spaziano tra le materie più varie, trattano di matematica, astronomia, scienza ed altro. Si esprime in francese, deve essere anche una persona di cultura per avergli affidato una collezione di libri così delicata.
All’uscita, le giovani venditrici di cianfrusaglie mi circondano di nuovo, compro un ricordino in cambio di alcune foto fatte insieme. 

Nonostante il sole il freddo è pungente

Il tour cittadino continua tra le strette viuzze, case semplici con piccoli cortili. Dietro un edificio svetta un minareto quadrato, la struttura più alta della città, alla base un ampio cortile con un chiostro con tanti archi; è la moschea del XVI secolo, la possiamo vedere solo da fuori, non è accessibile ai non musulmani. 

L'antica Moschea

Non trovando più niente di interessante torniamo in albergo, è quasi ora di pranzo, puntuale arriva un buon cus cus integrale con verdure e carne. Vittorio lo mangia … ma storce il naso.
Quando arriva la macchina che ci riporterà ad Atar siamo già pronti. Il ritorno al campeggio Bab Sahara lo facciamo con tutta calma per evitare i grossi scossoni al fuoristrada ed a noi.
Troviamo il camping pieno di macchine di escursionisti, un equipaggio viene addirittura dall’Australia da dove partirono cinque anni prima. Gli do’ una rapida occhiata, poi la stanchezza prende il sopravvento, anche oggi abbiamo camminato molto, mi ritiro nel camper a riposare.
          Considerazione personale sulla città di Chinguetti
Una località dimenticata dagli uomini, un luogo isolato ai margini del grande deserto di Adrar.
La popolazione sembra serena, ma per noi che veniamo da un mondo dove c’è tutto ed anche il superfluo, ci sembra impossibile vivere tra sabbia e rifiuti che soffocano le strade, perché qui, nessuno li rimuove.
La città è stata definita “la settima città santa” anche se non ne abbiamo capito il motivo, forse per un remotissimo e grande passato di centro carovaniero, ma con l'avanzata della desertificazione ha perso ogni importanza. Le uniche due cose che meritano una visita sono le biblioteche e la moschea.
Insomma, una realtà che mi ha molto intristito, una stretta al cuore pensando alle persone che ci abitano; ai bambini, quali prospettive li attendono? Qui c’è solo sabbia, vento, freddo e forse povertà. Pensavo di aver conosciuto la desolazione dopo aver visitato Ksar Ghilane in Tunisia, ma alla luce dei fatti il peggio non finisce mai.

                                                          Anna Maria Rosati

2 commenti:

  1. Finalmente un nuovo post! Bello il racconto ricco di emozioni, certo é stata un vera avventura!

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