giovedì 5 luglio 2012

                      Una visita all'isola di Gheshm, IRAN

Dopo diversi viaggi in Iran, questa volta ci dirigiamo nel suo profondo sud
                                                        Il golfo Persico.
            Ci attrae l’isola di Gheshm, la più grande del golfo e, la meno sfruttata turisticamente, parliamo di turismo locale perché di occidentali … nemmeno l’ombra.
            L’isola si trova al largo di Bandar Abbas, crediamo che l’imbarco sia li. Giunti al porto ci dicono che i traghetti, ovvero le chiatte, che da e, per Gheshm, partono da Bandar-e Pol, una sessantina di chilometri a sud-ovest. Naturalmente gli imbarchi non sono reclamizzati, quindi si va avanti con le informazioni ricevute sul posto.

Itinerario sull'isola di Gheshm
            Giriamo il camper ed iniziamo a costeggiare il golfo. Ambo i lati della strada ci sono postazioni militari, dobbiamo tener conto che sull’altra sponda abbiamo la penisola arabica che dall’Iraq e Kuwait arriva fino allo Yemen. Durante il percorso veniamo fermati in un posto di blocco per controllo passaporti, i militari sono rapidi e gentili, poco dopo riprendiamo la via.
            A Bandar-e Pol arriviamo che è quasi buio e le imbarcazioni che fanno la spola hanno terminato il servizio. Ci imbarcheremo domani. Alcuni giovani guardiani, fanno qualche obiezione a farci parcheggiare per la notte dentro il recinto portuale, poi acconsentono. Nel frattempo è arrivato l’ultima chiatta, ha riportato sulla terra ferma alcuni lavoratori e quei rari turisti iraniani che hanno trascorso la giornata festiva sull’isola.
            Nonostante siamo nei primi giorni di aprile, la serata è calda ed umida, siamo a ventotto gradi, la vicinanza del tropico si fa sentire. Giusto il tempo per preparare la cena ed anche questa giornata è finita.
            La notte è trascorsa tra i latrati dei cani e i motori diesel dei camion frigoriferi, in uno spazio così ristretto è il meno che ci poteva capitare. Alle sette siamo in piedi, il sole è già alto con i suoi venticinque gradi. Nel piazzale c’è movimento, alle otto cominceranno a caricare i camion, sono diverse decine e tutti di grandi proporzioni. Siamo anche circondati da semplici autovetture, gli occupanti ci guardano con discreta curiosità. Vittorio è sceso dal camper per capire a che ora sarà il nostro turno d’imbarco, si muove spigliato tra la gente forte della sua maccheronica lingua persiana. Io mi sento un po’ in imbarazzo, con questo foulard mi sembro una befana.
            Il nostro turno è arrivato, il mezzo di navigazione è una simbiosi tra una grande chiatta e il rimorchiatore che gli è legato affianco. Sono le nove e venti quando stacchiamo dalla banchina. Siamo stretti tra le molte autovetture imbarcate, il mare è piatto e l’attraversata è tranquilla. Cerchiamo di telefonare, ma né il cellulare italiano né quello iraniano hanno campo, sono già diversi giorni che non c’è linea, forse in questo remoto lembo di terra persiana i ripetitori sono ancora scarsi.

Il nostro "traghetto" è arrivato
            Dopo meno di un’ora siamo arrivati sull’isola, la prima cosa che desideriamo vedere è la “valle delle stelle” che si trova a circa sessanta chilometri est dal punto di sbarco. La strada è buona, a pensarci bene in tutto l’Iran le sedi stradali sono discretamente buone ed il carburante è a buon mercato.
            Lungo il percorso incontriamo un cantiere navale in piena attività, grandi barche da pesca dai larghissimi scafi come tante arche di Noè. Ci fermiamo per visitarlo e magari prendere qualche foto ricordo. Il cantiere è vastissimo, sono in costruzione una ventina di pescherecci nelle varie fasi di lavorazione; dalla semplice ossatura fino ad arrivare a quelle quasi pronte per il varo.

Le ordinate perfettamente in asse

Ogni ordinata è pesantissima
            Siamo incuriositi, passeggiamo tra le imbarcazioni, tutto intorno un gran fervore, operai che trasportano le pesanti ordinate sapientemente lavorate dai maestri d’ascia, altri indaffarati con il fasciame e la calafatura, tutta la lavorazione è con metodo antico, come è stato insegnato loro per generazioni. Una visione insolita, sembra di essere sul set cinematografico di un film sui pirati. Le maestranze sono gentili, e noi fotografiamo il tutto con tranquillità.

Questa imbarcazione è pronta per il varo
            Sempre sulla strada principale ci troviamo davanti ad una collina di arenaria, all’esterno presenta diversi fori come finestre più o meno allineate. È il sito antico di  Kharbas, abitato già dal VI° secolo a.C. fermiamo il camper nell’ampio parcheggio, Io rimango qui mentre Vittorio sale per fare delle fotografie. Sta via circa un’ora, al ritorno mi ha detto che l’interno della collina è una serie di grandi ambienti, stanze e corridoi, il tutto diviso in diversi piani. Praticamente, gli antichi abitanti scavando, hanno realizzato il primo “palazzo”condominiale.

L'interno di questa collina è completamente scavata
            Riprendiamo la via verso “daré setaré”, la valle delle stelle il lingua persiana, come ce la scrive un gentile signore che ce ne indica la direzione. Poco traffico, soltanto motociclette con a bordo tre o quattro persone, a volte anche le donne con le mascherine caratteristiche del golfo Persico. Ai lati della strada, lunghe spianate di terra e sabbia percorse dall’incedere lento di piccole mandrie di dromedari, troppo lontani per essere fotografati.
            Un grande cartello arrugginito ci indica che siamo arrivati alla valle. Parcheggiamo la “casa” e ci incamminiamo verso l’ingresso. In senso contrario un gruppo di signore iraniane che ha terminato la visita, si fermano a parlare con noi, sono di Tehran, scambiamo qualche parola in inglese e prendiamo nota dei rispettivi indirizzi.

Le signore di Tehran

L'ingresso del sito
            La valle si presenta suggestiva, le sue conformazioni di arenaria formano pinnacoli, archi e monoliti di varia grandezza, il bianco candore del suo materiale contrasta col il blu intenso del cielo, più che delle stelle sembra di stare in una valle lunare. Siamo gli unici visitatori del sito, una fresca brezza marina ci ristora dalla calda giornata, stiamo godendo di questa meraviglia della natura. Gli scatti fotografici di Vittorio si alternano ai miei, questa sera avremo un bel daffare per riordinare i file fotografici.

Un particolare della valle
            Nel tornare verso Gheshm, il capoluogo dell’isola, ci fermiamo presso un villaggio di pescatori, niente di particolare, anche se lontani decine di migliaia di chilometri dal nostro Tirreno, lo scenario non cambia molto, barche attraccate e pescatori che riparano le reti. Dopo qualche foto riprendiamo il cammino.

Il porticciolo

Antichi mestieri
            La città ci accoglie con i suoi grandi viali, nuove palazzine e tantissime aiuole ben curate. Le strade sono percorse da grandi berline e molti “pick up”, si ha l’impressione che qui circoli molto denaro. Più avanti verso il centro sarà un vero problema parcheggiare, vicino l’ingresso del bazar stranamente c’è un po’ di spazio, guardando bene è vietato sostare; Vittorio scende dal camper, lo vedo parlottare con una guardia poco distante, li vedo sorridere e stringersi la mano, il gioco è fatto, possiamo parcheggiare.
            Il bazar, come tutti i mercati pullula di vita, è impressionante la quantità di merce esposta, è un via vai di gente, si fa fatica a camminare. Incontriamo tre giovani donne con le mascherine, differenti per foggia e colore da quelle di Minab, queste sono dorate e meno vistose, Vittorio cerca di fotografarle mentre io le distraggo, certo la luce è poca, vedremo poi il risultato.

Abbigliamento tipico del golfo Persico
            Siamo quasi alla fine del giorno, cerchiamo un luogo per pernottare, davanti all’hotel Darya c’è un comodo parcheggio; ceniamo nel ristorante dell’hotel e poi ci ritiriamo in casa.
            Al mattino seguente torniamo in albergo, Vittorio si collega ad internet per controllare la posta, la connessione è un po’ lenta, ci vuole un po’ di tempo; nel frattempo io guardo le news sul canale della BBC, come sempre nel mondo non c’è nulla di buono.
            Torniamo al bazar, cerchiamo con discrezione di fotografare le signore che indossano le “necâb” (classiche maschere del golfo), non sarà facile, le donne non vogliono essere fotografate. Il nostro non è un gesto irrispettoso ma pensiamo che le immagini che riporteremo, saranno soltanto una doverosa informazione.

Una signora che indossa la “necâb”
            Passeggiando tra gli stand, facciamo qualche acquisto, si è abbagliati dai tanti colori ed inebriati dagli aromi delle spezie. Mi intrattengo con due belle signore, mamma e figlia, quest’ultima appena sposata “carica” di bracciali d’oro al polso, sicuramente regali di nozze; provo a chiedere di fare una foto insieme, loro non vogliono ed io mi scuso.

L'interno del Bazar
            Cerchiamo un posto vicino al mare per pranzare e riposare durante le ore calde, sperando della brezza marina.
            Nel pomeriggio torniamo nel bazar, trascorriamo tutto il pomeriggio nei vialetti odorosi del mercato, cercando qualche oggetto sfizioso da acquistare, qualche regalino da portare alle persone care. Ci accorgiamo che si sta facendo tardi, i negozi stanno chiudendo i battenti; decidiamo di cenare ancora nell’albergo della sera prima, il pesce è stato squisito, e si può pernottare vicino.
            Stamani il cielo è un po’ velato, ci dirigiamo verso il punto di imbarco, le ultime cose da vedere sono da quella parte dell’isola. La strada che esce dalla città è ben asfaltata, spesso affiancata da alte rocce frastagliate come calanchi che meritano una foto. Più avanti dentro una baia, siamo sorpresi per una serie di grosse imbarcazioni in secca, quasi adagiate su un fianco ma con i marinai a bordo che lavorano. Evidentemente questo è un porto naturale, e l’entrata e l’uscita da questo approdo è regolata dalle rilevanti maree. E’ interessante fotografare questi “cetacei” di legno arenati.

In attesa della marea
            Siamo diretti nella zona delle mangrovie e delle rinomate saline ad ovest dell’isola, il paesaggio torna piatto e sabbioso, si vedono ancora gruppi di dromedari dal loro caratteristico passo. I grandi maschi hanno il “sottopancia”, forse per regolare le nascite come si fa con i montoni nelle nostre campagne.

Dromedari al pascolo
            Controlliamo la mappa, per le saline ci sono trenta chilometri di strada sterrata ed altrettanti per il ritorno, il cielo è sempre coperto con sabbia in sospensione, la visibilità è scarsa, abbiamo deciso di dirigersi direttamente al porto e tornare “in continente”.
            Per i biglietti non ci sono problemi, qui non esistono prenotazioni, si arriva al porto e finché c’è posto si sale. Le operazioni per l’imbarco sempre laboriose, autovetture che cercano di passare avanti ai grandi camion, il tutto in un piazzale polveroso, speriamo ci sia posto anche per noi. Poco dopo ci fanno salire e ci”incastrano” tra due grossi camion, il viaggio durerà meno di un’ora.
            Una volta sbarcati ci restano da fare i sessanta chilometri dell’andata per arrivare a Bandar Abbas. Alle diciannove siamo sul lungomare della città, un luogo tranquillo per pernottare. Davanti a noi un larghissimo arenile ed un grosso mercantile arenato, … ma questa è un’altra storia.

Il mercantile "spiaggiato"
                                                                                               Anna Maria Rosati
                                                        -----ooooo-----

2 commenti:

  1. grazie per questo bel reportage, è una parte di mondo che non credo visiteremo mai e quindi il vostro raconto ce ne fa vivere un po' di atmosfera!

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  2. e una bella aventura...la poverta non si ofende mai...il velo dele done... anche le suore in tuto il mondo catolico lo metono !

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