lunedì 2 luglio 2012


                              Una visita a: DIVRIGI, Turchia
Interesse artistico storico:  Ulu Camì e Darüşşifa (moschea e ospedale del XIII sec d.C.), sito protetto dall’UNESCO.
            Il complesso è stato fatto costruire dal sultano Mengüçoğlu Ahmet Şah e dalla moglie Malikaturan Malik nel 1228, durante il periodo mongolo.
Itinerario per Divrigi
            La regione est della Turchia è quella meno battuta turisticamente, ma non per questo è meno interessante. Desideriamo visitare la cittadina di Divrigi, abbiamo letto di una antica moschea con annesso ospedale psichiatrico. Un’unica struttura in pietra dai portali cesellati con raffinati motivi floreali.
            La lettura ci incuriosì, perché mai nel XIII sec d.C. qualcuno fece costruire un “manicomio” in mezzo ai monti? Alla fine del medio evo, non credo ci si preoccupasse molto delle persone malate di mente.
            Lasciamo la città di Sivas ed iniziamo a percorrere una strada di montagna costeggiando un limpidissimo fiume, le acque scorrono con fragore tra rapide e saltelli. Pian piano comprendiamo perché i turisti non vengono da queste parti, per arrivare a Divrigi si devono percorrere oltre duecento chilometri di montagna dai molteplici tornanti, naturalmente stessa cosa per il ritorno.
Il fiume, compagno di viaggio
            Arriviamo a Divrigi alle ore venti, c’è ancora luce, troviamo parcheggio trecento metri più in basso del complesso archeologico, è uno spiazzo in piano, sterrato ma è l’unico “non in piedi” come tutto il resto della cittadella, adagiata sul fianco della collina da est ad ovest. A mezza costa domina “la Camì” la moschea in stile ottomano, splendida e ben restaurata, più in alto quel che resta dell’antico castello medievale.
            Diamo un rapido sguardo dal basso, ormai è ora di cena, più tardi andremo a fare qualche foto in notturna. Vicino al nostro parcheggio c’è un giardino pubblico con un piccolo parco giochi, alcuni bambini ci guardano incuriositi, poi tranquilli, tornano a giocare.
            Dopo cena usciamo e ci incamminiamo verso la Camì, è tutta illuminata e la luce dorata ne risalta tutta la bellezza. Essere qui davanti ci ripaga della difficile strada fatta arrivare. Si!  Ne è valsa la pena.
I meravigliosi portali dell'ospedale e della moschea

Il portale settentrionale
            Scattiamo qualche foto sul piazzale davanti al sito, alcuni ragazzi si avvicinano a noi, cortesemente ci offrono di visitare la moschea, vediamo che è chiusa ma uno di loro ha la chiave, ci dice che è un militare di marina, ma forse è anche il custode.
            La visita all’interno è molto privata, una decina di ragazzi e noi, prendiamo qualche istantanea e con l’autoscatto facciamo una foto di gruppo. Il muezzin “chiama” la preghiera, noi li lasciamo ai loro riti religiosi dandoci appuntamento all’indomani.
Foto di gruppo
            Stamani il cielo è bellissimo, alle dieci la facciata principale è ancora in ombra ed i suoi due meravigliosi portali non risaltano, per fotografarli dovremo attendere qualche ora. Il portale della facciata settentrionale non viene mai illuminato dal sole, è un vero peccato perché è il più maestoso e il più bello. Tantissimi decori, motivi geometrici, foglie lussureggianti, medaglioni ed iscrizioni in arabo.
            Ci limitiamo a riprendere l’esterno poiché la struttura è chiusa, da li a poco arriva un signore ben vestito che ci apre l’ex “l’ospedale”, un edificio studiato appositamente per quelle persone sfortunate. E’ il primo che vediamo in Turchia, considerando anche l’epoca che è stato costruito.

L'interno dell'ospedale
            La struttura interna perfettamente conservata, tutta in pietra viva perfettamente levigata, nelle stanze laterali i suonatori, con la loro musica alleviavano le sofferenze di quei poveri esseri. La cosa che più ci ha colpito è stata una fontana pavimentale che inizia con una spirale, la sua funzione era di far “sussurrare” l’acqua nel passare tra le sue spire, in tal modo, quando la notte i suonatori tornavano a casa, ci pensava il gorgoglìo dell’acqua a tener compagnia ai malati. A pensarci bene, quelle persone di tutto avevano bisogno meno che del silenzio. La cosa straordinaria, che tutto questo è avvenuto ottocento anni fa.

La fontana pavimentale
            Ci intratteniamo con il signore che ha aperto il sito, ci offre del tè, lui parla solo turco, un vero peccato. In uno scarso inglese ci indica che in un’altra sala ci sono alcuni sarcofagi coperti con drappi verdi, sono di alcuni artisti che hanno lavorato al complesso monumentale. Sempre qui, è sepolto anche il sultano che ha fatto costruire il complesso.

L'immancabile tè turco
            Nel frattempo anche la moschea ha aperto i battenti, è il momento della preghiera, lasciamo i fedeli al loro credo. Torneremo più tardi, desidero fotografare i meravigliosi tappeti che ho visto ieri sera. E’ sempre più raro trovare tappeti antichi nelle moschee turche, sostituiti da discutissime imitazioni di moquette.
            Dopo un po’ rientriamo, ormai i fedeli sono usciti, è rimasto soltanto il giovane di ieri, ci dice di essere un muezzin. Fotografiamo alcuni tappeti, ieri con la luce artificiale non mi ero accorta che alcuni di questi erano industriali, è un vero peccato, è quasi un offesa per un luogo così artisticamente raffinato.

L'interno della moschea

I tappeti della moschea
            Torno in camper a preparare il pranzo, Vittorio sale sul sentiero che lo porterà in cima al castello per fotografarlo, al suo ritorno dirà  che da lassù, oltre la cresta, ha visto il fiume incuneato in un bellissimo canyon, lo stesso fiume che all’andata ci aveva accompagnato per tanti chilometri.


Il castello medievale

Il fiume ed il canyon
            Il sole è allo zenit, è abbastanza caldo, per fortuna c’è un buon venticello che ci fa respirare, ne approfittiamo per mangiare e riposare un po’.
            Nel pomeriggio il prospetto principale della moschea è illuminato, Vittorio ci torna per completare il servizio fotografico mentre io rimango a “casa” a scrivere il diario.

Il portale della moschea in piena luce

Particolare delle incisioni
            Lasciamo Divrigi ancora con l’ottima luce di un pomeriggio di tarda primavera, la via del ritorno non è la stessa dell’andata, una strada interna che sulle cartine è segnata in giallo, quindi un’incognita. Chiediamo informazioni e ci rispondono ”asfalt”, prendiamo coraggio e via!
La percorriamo con calma fermandoci più volte a riprendere il corso d'acqua costeggiato di betulle.
            Con il sole ancora alto ci accorgiamo della meravigliosa vegetazione spontanea che ci circonda, fiori di vari colori, spiccano papaveri di rara grandezza, sia per bulbo che per calice dal colore rosso accecante.

Vegetazione spontanea
            La strada anche se di montagna è buona, superiamo un paio di valichi intorno ai duemila metri, piccoli villaggi isolati si susseguono sull’altopiano, non oso pensare a questi luoghi durante la stagione invernale. Nella località di Bolucan incontriamo diverse postazioni militari, qui siamo in pieno Kurdistan, salutiamo le sentinelle e loro contraccambiano con simpatia.
            Arriviamo a Refahiye che è sera, qui è prevista la sosta notturna.
                                         Buona notte e alla prossima visita
                                                                             Anna Maria Rosati
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