lunedì 17 luglio 2017

GIORDANIA 1993

                          PETRA, il regno dei Nabatei

 Itinerario per arrivare a Petra

Cercando di conservare vecchie foto e diapositive, le abbiamo digitalizzate con lo scanner e riversate in un hard disck. Un lavoro lento e laborioso che ci fa rivivere vecchie avventure del “tempo delle pellicole”.  

Un lungo viaggio in solitaria attraverso cinque nazioni. Qui ne narreremo soltanto una piccola parte, l’emozionante visita alla “Città Rosa”: PETRA

                                                La città rosa

Quando arriviamo a Wadi Musa, la città dove sorge il sito archeologico di Petra è quasi buio. E’ poco più di un villaggio, adagiato sopra una serie di piccole colline dove è impossibile trovare un parcheggio in piano per pernottare.
            Ci spostiamo fino davanti all’ingresso del sito, una piccola piazzetta dove è possibile passare la notte.
            Al mattino seguente la sveglia è quasi all’alba, siamo emozionati. Vogliamo essere i primi ad entrare in questa valle per non perdere neanche un minuto per ammirare le tante cose belle che ci attendono.


 Abbiamo pernottato davanti il sito archeologico

             Iniziamo la vestizione alla “indiana Jones”: cappelli; macchine fotografiche; bussola; mappa del luogo e borraccia. Ci attende una visita mozzafiato.
            Siamo soli davanti la biglietteria ancora chiusa, forse è ancora presto, poche le scritte e, solo in arabo.  Una volta entrati vediamo un’ampia valle al termine dalla quale si trova la tomba dell’obelisco, così chiamata per i quattro obelischi che sormontano la classica struttura a colonne e capitelli dorici.



La tomba dell’obelisco

Di fronte a questo monumento, cavalli legati attendono i turisti per portarli lungo il Siq, un percorso di mille e duecento metri, stretto e smussato dall'erosione dell'acqua tra pareti alte più di cento metri. Alla base vediamo le prime sculture in bassorilievo e molte piante attaccate alle pareti.
             Oltre a noi c’è una giovane coppia italiana in viaggio di nozze, anche loro viaggiatori solitari. Il percorso del Siq si snoda sinuosamente con coloratissime venature, camminiamo silenziosamente guardando l’arenaria che ci circonda; il silenzio è rotto ogni tanto dal “dromediere” che in sella al suo asinello con al seguito un dromedario ci invita a salire. Gentilmente rifiutiamo, dicendo che avremo preso il simpatico animale al ritorno.



 “Il dromediere” in cerca di clienti

            Lungo tutto il cammino tra altissime pareti, si notano lunghi canali scavati  dall’uomo con pendenza regolare che portava l’acqua piovana nelle cisterne . I Nabatei, antichi abitanti di Petra erano efficaci ingegneri idraulici.


 Il percorso del Siq

        La prima grande emozione arriva quando alla fine del canyon si è iniziato ad intravedere l’urna che sormonta il timpano del monumento più celebre di Petra, il palazzo del tesoro, conosciuto pure come  “ il palazzo del tesoro del faraone” (el Khasneh al Faroun). Una leggenda recita che all’interno dell’urna in cima al monumento ci sia nascosto un tesoro e nel corso degli anni questa sia stata presa inutilmente a fucilate.


 Il primo scorcio del Tesoro

           Siamo davanti a questo splendido monumento, è imponente con i suoi quaranta metri di altezza e ventotto di larghezza, intatto nel suo perfetto stato di conservazione. Nonostante siamo abituati a queste meraviglie del mondo antico siamo emozionati, non sappiamo dove guardare e cosa fotografare, cerchiamo di scrutare ogni minimo particolare. Colonne e capitelli ben conservati sono in piena luce, continuiamo a scattare foto e diapositive.


 Il Tesoro, "l’immagine di Petra"

          Siamo soli insieme ad un paio di bancarelle che vendono souvenir, stranamente oggi ci sono pochissimi turisti. Entriamo nel palazzo, un enorme unico locale scavato nella roccia perfettamente squadrato.


 Il venditore di souvenir

 Il Tesoro visto da dentro

        Facciamo qualche autoscatto e ci dirigiamo verso il teatro romano, anch’esso scavato nella roccia. Costruito dai Nabatei per circa tremila spettatori, fu ampliato dopo la conquista dei romani alla fine del I° secolo d.C. raddoppiandone la capienza. Lo troviamo sulla destra del nostro cammino, ci sorprende per la sua grandezza e dal colore rosso fuoco. L’arenaria in questo punto ne ha tutte le gradazioni.

 In direzione del teatro

 Il teatro romano

Ci sediamo un attimo per fare il punto della situazione, abbiamo accuratamente studiato questa visita per poter ammirare i monumenti con la migliore luce possibile. Poche centinaia di metri più avanti si trovano le tombe reali. Controllando la mappa con la bussola notiamo che per tutta la mattinata le tombe, avranno il sole alle spalle quindi “poco fotografabili”
La decisione è presa, faremo il percorso inverso da quello suggerito dalle guide. Torneremo alle tombe quando saranno in pieno sole. Prendiamo un ripido sentiero per salire in cima al monte dove si trova la zona sacrificale, è un percorso impegnativo ma una volta arrivati in cima siamo appagati da una vista magnifica su tutta la vallata.  Nelle vicinanze dell’altare del sacrificio, una pastorella ci guarda con curiosità seguendoci con discrezione mentre scattiamo qualche istantanea. 

 L’altare circolare sacrificale

 Si narra che in questo luogo Abramo portò suo figlio Isacco per il sacrificio. Sulla cresta del monte di fronte a noi si vede una costruzione bianca, è il mausoleo di Aronne, fratello di Mosè venerato anche dai musulmani.
Lasciamo il luogo del Sacrificio, aggiriamo il teatro e le tombe sottostanti che sono ancora in ombra. Un sentiero tortuoso scende in una valle più piccola costeggiata da tombe minori ma non meno importanti come la tomba del giardino, che si trova nel sentiero lungo il piccolo canyon. 

 La tomba del Giardino

       Poco distante la tomba del soldato romano, nelle nicchie sopra il grande ingresso ci sono dei bassorilievi che raffigurano un soldato con la corazza. 

 La tomba del soldato romano

 E’ molto caldo, il cammino anche se non molto faticoso, a tratti è molto polveroso, un fesh-fesh come borotalco. I sentieri s’incrociano l’un l’altro, poche le informazioni che indicano la direzione del “Monastero” una struttura che ricorda il “Tesoro” ma più grande.
Scendiamo nella vallata principale dove c’è il museo ed un piccolo ristorantino, facciamo una sosta per prendere un tè e mangiare un po’ di frutta. Abbiamo trovato un piccolo gruppo di italiani, anche loro si stanno rifocillando.
Riprendiamo a salire, davanti a noi una serie di gradini scavati nella pietra viva, il paesaggio è brullo di color ocra acceso, fanno da contrasto grandi piante di oleandri color rosa intenso. A volte i passaggi non sono semplici, bisogna fare attenzione
 Il passaggio è parzialmente ostruito

 Spesso rasenta il precipizio

      Per arrivare in vetta camminiamo per circa un’ora, il paesaggio cambia repentinamente con il cambio di prospettiva. Gli oleandri si susseguono, chissà dove prenderanno l’acqua per sopravvivere, intorno a noi soltanto rocce aride. Ma il panorama è affascinante, in lontananza si vedono le tombe reali.

 Gli oleandri, senza foglie … solo fiori

        Poco prima di valicare, spunta dal crinale il profilo inconfondibile del timpano del “Monastero”,  che come il “Tesoro” non è stato costruito ma, scavato completamente nella parete rocciosa. E’ stato chiamato “Monastero” perché al tempo dei Bizantini nel suo interno c’erano molte croci votive. Le sue dimensioni sono notevoli, cinquanta metri per quarantacinque di altezza. Il solo gradino per entrare nella sala sepolcrale è alto un metro e mezzo, e l’entrata una quindicina di metri

 Improvvisamente ... il Monastero

 L’imponente scultura

        Ci sediamo poco distanti per avere una visione ampia di tutto il complesso, ci rifocilliamo con un po’ di frutta, qualche crackers ed un po’ d’acqua dalla borraccia. Siamo soli e felici, arrivare fin quassù non è stato semplice, l’emozione è grande  e cercheremo di immortalarla con la nostra reflex ed il fido cavalletto.

 Con l’autoscatto

        E’ ora di tornare indietro cambiando percorso. Il colpo d'occhio è sempre magnifico, con il sole più tenue le rocce assumono una tonalità dal rosa al rosso a seconda delle venature delle pareti rocciose.

 Venature variopinte 
     
      Ormai siamo a fondo valle, una strada romana ci fa passare a fianco al tempio di Traiano, la differenza di stili è notevole come il contrasto dei colori. 

 La porta di Adriano

          Siamo diretti alle tombe imperiali ormai in pieno sole, sono una decina i grandi monumenti davanti a noi, sono stati realizzati su più livelli, opere imponenti anch’essi ricavati spianando e scavando dentro la montagna. Il sole le colora di un rosso intenso, il riflesso è abbagliante, iniziamo a salire per vedere da vicino i rilievi e le sculture che questo antico popolo ci ha lasciato.

 Le tombe reali in pieno sole

      Anche la natura ha modellato le pareti, l’erosione delle rarissime piogge hanno creato fiori fantasiosi, è lo spettacolo più bello di tutta la giornata.
 La tomba dell’urna ed una rosa disegnata dalla pioggia e dal vento

       Una lunga giornata è trascorsa tra bellezze naturali e quelle modellate dall’uomo. Ripide salite ed altrettante ripide discese attraverso assolati canyons, tra rocce aride e coloratissimi oleandri. Il sole sta scendendo lentamente, è ora di lasciare l’antica terra dei Nabatei. Ci incamminiamo verso il Siq lanciando un ultimo sguardo a quel capolavoro del “tesoro”. Il dromediere di questa mattina si avvicina, gli avevamo promesso che avremo usufruito del suo dromedario per tornare indietro

 Il ritorno sul dromedario

         Il lento incedere del “gobbuto” animale mi culla nell’attraversare lo stretto passaggio, ancora un paio di chilometri e saremo nella nostra casa viaggiante. Lo spettacolo è superbo, l’ora è splendida e c’è una luce bellissima.



Siamo arrivati

La visita ci ha riempito di emozioni, siamo stai fortunati ad averla effettuata “quasi” in solitaria, i turisti solo stati pochissimi. … Ciao Petra.

                            La riscoperta di petra
Petra dopo la sua decadenza anche per catastrofi naturali, era rimasta nascosta al mondo occidentale per molti secoli. Nel 1812 un viaggiatore svizzero che parlava arabo in transito per Damasco, aveva sentito parlare di una città antica, di bellezza straordinaria, rimasta segreta vicino la città di Wadi Musa in Giordania e vietata ai non musulmani.
 Il suo nome era Johann Ludwig Burckhardt. Volendo trovare questo antico sito, si convertì all’Islam e chiedeva alle guide del luogo di condurlo presso la tomba di Aronne per poter sacrificare un agnello in onore del profeta; si narrava infatti  che detto sepolcro era nelle vicinanze  della città perduta.
Per arrivare al mausoleo del fratello di Mosè, si doveva attraversare la valle di Petra,  Burckhardt non poté prendere appunti, non doveva far capire che era la “città rosa” che gli interessava. Senza prenderne nota fissò nella sua mente il tracciato per tornarci poi da solo e far conoscere al mondo questo capolavoro del mondo antico.
                                               Anna Maria Rosati


domenica 16 febbraio 2014

Algeria 2013 - 2014

                       I dromedari ed i fucilieri di Timimoun


L'itineraio algerino

             Lasciata la valle de M'Zab ci dirigiamo verso la provincia di Adrar. Poco prima del tramonto ci fermiamo nella cittadina di El Menea, un anonimo agglomerato urbanistico un po' disordinato. Ci fermiamo all'auberge de jeunesse, pernottiamo nel suo parcheggio come qualche anno fa.


L'auberge de jeunesse

           Stamani c'è un tiepido sole ma l'aria è rigida. In albergo ci sono turisti locali, in maggioranza boy scout con i loro accompagnatori, vorrei fotografarli ma un pulmino si interpone tra il nostro camper e loro oscurandomi la visuale.
             Facciamo un piccolo giro in città per acquistare delle baguette e dei croissant, qui in Algeria sono ottimi come nella migliore tradizione francese. Troviamo la cittadina in un caos di auto, sabbia e polvere; cantieri ovunque che ne aumentano il disordine.
             Oggi abbiamo una vasta area da attraversare, circa quattrocento chilometri di deserto, la strada dovrebbe essere asfaltata o pseudo tale. Prima di lasciare El Menea dobbiamo fare il pieno di gasolio, per tutto il percorso non ci sono stazioni di servizio o approvvigionamento di carburante.
                All'uscita dell'abitato ci lasciamo alle spalle l'antica medina adagiata sopra una collina che domina la valle, noi la visitammo nel 2010. Nella pianura sottostante c'è l'antico cimitero (ancora in uso) che fotografiamo per documentazione.


L'antica medina o cittadella


Il cimitero adiacente all'oasi

            La strada prosegue fino al prossimo incrocio per Timimoun, qui troviamo un posto di blocco ma i militari ci fanno cenno di continuare. Fino ad oggi abbiamo trovato sia gendarmi che agenti di polizia di una gentilezza e disponibilità unica.
              I panorama ci è famigliare, spesso la carreggiata corre parallelamente ad altissime dune ad adeguata distanza per non essere ricoperta dalla sabbia stessa. A volte il paesaggio è piatto per oltre cinquanta chilometri, soltanto una sottile linea di asfalto scuro che si perde all'orizzonte.


Lunghe linee di asfalto

       Ogni tanto piccoli gruppi di dromedari pascolano pigramente, però quando ci fermiamo per fotografarli, alzano la testa e se ne vanno con il loro incedere sinuoso. Oggi siamo fortunati, un giovane esemplare non sembra spaventato, rimane fermo vicino al camper. Vittorio scende dal mezzo senza movimenti bruschi, tiene in mano dei cetrioli rivolti al dromedario e, questi gli si è avvicinato senza timore.


Il giovane dromedario non sembra spaventato.

             Io scatto foto a ripetizione, sono contenta, Vittorio ride perché anche un altro giovane esemplare si sta avvicinando, forse anche lui sente il profumo degli ortaggi. Sembra facciano a gara a chi spinge di più, sono entrambi buffi perché sembra che tengano sulle labbra due grossi sigari.


C'è chi reclama il suo boccone.


Sono animali simpaticissimi.

            Vittorio risale sul camper per prendere del pane duro che manteniamo per queste occasioni e torna a distribuirlo ai giovani animali che ne mangiano con avidità, quasi a spingerlo come per chiederne ancora.
             Seguito a scattare le foto e non penso a fare delle riprese video, comunque questi giovani animali ci hanno permesso di avvicinarli offrendoci un simpatico spettacolo. Non è la prima volta che qui in Algeria assistiamo a questi "incontri ravvicinati" ma per noi è sempre emozionante.
              Viaggiamo per diverse ore, manteniamo una media oraria molto bassa, tra le fermate per scattare le foto, il fondo stradale pessimo e le gincane per evitare le buche, sembra che non arriviamo mai a destinazione; ed allora ci torna in mente il vecchio "adagio" << lo vuoi il deserto?>>


Il manto stradale rovinato

               La strada che segue è piena di cavità di ogni dimensione, districarsi con continui slalom su questa "groviera stradale" non è facile. Verso le ore quattordici arriviamo a M'guiden, un luogo dimenticato da Dio (o come dice un nostro amico sacerdote, dimenticato dagli uomini).


Foto satellitare di M'Guiden

              M'Guiden è un piccolo villaggio che non risulta su nessuna carta geografica (N 29 31 09,9 - E 1  32 47,5). Oltre ad una decina di case, un posto di ristoro per camionisti ed un fortino di gendarmeria con il relativo posto di blocco, non esiste altro. Siamo al confine tra le province di Ghardaia ed Adrar.
                Approfittiamo della sosta per il pranzo, Vittorio scende per vedere se "nell'autogrill" c'è qualcosa da mangiare, poi torna sui suoi passi con due baguette e sorridendo dice: Oggi, affettiamo il nostro prosciutto, là dentro è peggio di una fucina da fabbro.
                  Appena riprendiamo la strada, i gendarmi di turno ci invitano ad andare negli uffici del fortino per far registrare il nostro passaggio. Gli uffici si trovano a circa trecento metri dalla statale e per arrivarci dobbiamo prendere una pista sconnessa. Mentre un agente registra i nostri passaporti sopra un enorme librone, notiamo una bimbetta bionda dalla carnagione chiara come la porcellana, che gioca negli uffici; è la figlia del comandante la guarnigione con il quale Vittorio ha scambiato qualche parola. A pensarci bene questo è un luogo poco adatto per una bimba, Il primo, seppur piccolo centro abitato e ad oltre duecento chilometri, forse è venuta a far visita al papà per le vacanze di fine anno.


La pista per il fortino.

            Ci siamo ricordati che qui nel 2010, un ufficiale del presidio ci aiutò a reperire del carburante, all'epoca non eravamo a conoscenza che in questi quattrocento chilometri non si trovavano pompe di benzina.
                 Oltre la sbarra, l'asfalto improvvisamente diventa liscio come un tavolo da bigliardo, speriamo che duri; a volte ci fa credere che il peggio sia finito ma poi, dopo pochi chilometri ci ritroviamo nel dissesto più completo.Il percorso scorre veloce, non c'è assolutamente traffico, pochissimi i camion, rarissime le auto; ci sono lunghissime fettucce di strada fino all'orizzonte che ricordano il film "Easy Rider".


Bellissimo paesaggio


         Abbiamo percorso poco più di cento chilometri di strada buona, poi sono tornate le buche, ma ormai siamo arrivati a Timimoun, sono le ore diciassette. La stanchezza inizia a farsi sentire, questa mattina siamo partiti molto presto. Prendiamo la via che ci porterà allo storico campeggio "la Palmeraie" speriamo di trovarlo aperto.


Arrivo a Timimoun

       Siamo stati in questa città diverse volte, tuttavia dalla fine degli anni '80 ad oggi questa "capitale del deserto" è cresciuta a dismisura, ma sempre con la sua bella architettura.

                                                                Timimoun


Timimoun è un antico centro carovaniero nel bel mezzo del Sahara, tutto intorno per centinaia di chilometri c’è soltanto deserto. Snodo vitale dove per secoli si sono incrociate le mercanzie, la cultura e le sorti di popolazioni di etnie differenti, una mescolanza arabo-africana  che vanno dai discendenti degli schiavi del mali dalla pelle scura, ai berberi del nord. 
                La cittadina è costruita in stile sudanese, con l’intonaco a squame
                di pesce di un colore rosso “vinaccia”, con decorazioni bianche 
                che ne risaltano l’eleganza. Lo Ksar ovvero la parte antica della 
                città è racchiusa da mura perimetrali ed è adagiata sopra  un
                “plateau” la cui sottostante “palmeraie” la proteggono dalle dune 
                 sabbiose.

 L'intonaco particolare di Timimoun

Una delle porte della città 

           Il campeggio c’è ancora ma è vuoto, nel suo interno l’anziano custode ci da il benvenuto e dopo una rapida contrattazione ci sistemiamo nel solito posto. Purtroppo lo trovo molto trascurato, veramente un peccato perché sistemato a dovere potrebbe essere un luogo bellissimo tra altissime palme e bouganville in fiore. 


Calmping la Palmaraie

         Subito fuori il camping, e sotto la falesia su cui è adagiata la città, un estesissimo palmeto si perde fino al confine fra cielo e terra. Sono passate da poco le ore diciotto ed un timido sole ci offre lo spettacolo del tramonto. Dalla caserma proprio di fronte al campeggio esce un gendarme e ci viene incontro, molto cortesemente ci avverte che questa zona è sotto il vincolo militare ed è vietato fotografare. Gli facciamo notare che non c’è nessun cartello di divieto, lui è desolato e ci dice che è proibito, poi si scusa ancora e ci saluta. Per fare le foto ci spostiamo affinché la caserma esca dal campo visivo della fotocamera. 


Tramonto sul palmeto

        Torniamo sul camper, io inizio ad aggiornare il mio diario mentre Vittorio passa le foto al computer per sceglierne qualcuna da inviare agli amici insieme alle impressioni di viaggio, ce ne sono di molto belle, ma vorremmo mandarne anche qualcuna per far vedere il percorso pieno di buche. La giornata sta volgendo al termine, giusto il tempo di cenare ed andare a dormire. Intanto nel campeggio dal rumore che si sente deve essere arrivato qualche altro cliente.
         Questa notte abbiamo dormito saporitamente, ed un poco di pioggia ci ha cullato ulteriormente. Tutto intorno c’è il silenzio più assoluto, nel cielo c’è ancora qualche nuvola grigia, ma con l’aurora si stanno colorando di un rosso acceso.


 L'aurora dopo la pioggia.

         Dopo colazione lasciamo la nostra postazione e ci addentriamo nell’abitato, ancora non abbiamo deciso se andare nella Sebka (antichi villaggi fortificati abbandonati) o rimanere in città.  Uno degli antichi accessi alla vecchia Timimoun sta proprio dietro l’area del campeggio. Le porte della medina sono archi intonacati di rosso, da dove partono le strade sabbiose che si snodano in piccoli ed ombrosi vicoli. Sulla via principale un folto gruppo di uomini indossano jellabiya bianchi, candidi come i loro copricapo, sono armati di vecchi fucili, mentre altri portano tamburi. Vedemmo una cosa del genere nel lontano ’89, allora si trattava della festa del “Mouloud” ovvero la nascita di Maometto.


Il corteo dei fucilieri.

        Vittorio torna in fretta nel campeggio per prendere la telecamera, io rimango vicino ai “fucilieri” insieme ad una piccola folla di gente locale; c’è anche una giovane coppia di turisti dalla carnagione chiara che parlano arabo, forse sono di Algeri.
I suonatori iniziano a “picchiare” sui tamburi mentre i fucilieri porgendo le mani in avanti a formare una conchiglia iniziano a pregare. Una preghiera propiziatoria prima di iniziare la manifestazione.


I suonatori aprono la sfilata

                                                                  Il Baroud

       Questo evento il Baroud, non è nient'altro che una cerimonia per acclamare ed accogliere un avvenimento di grande interesse come la natività del Profeta, la visita di una persona importante (un presidente od altro), oppure come questa volta, per le festività di fine anno.
        Il "barud" è una danza accompagnata da canti corali che culmina con colpi di fucile sparati in aria od in terra (i fucili sono armi antiche e non armi moderne).
       Si tratta di un gruppo di fucilieri che sfilano in parata nelle stradine sabbiose della città, scortati da suonatori di tamburo. Tutti insieme intonano canti ritmati e ripetitivi, ogni tanto si fermano e si dispongono in circolo; al centro quattro suonatori con passi sinuosi simulano un combattimento con altrettanti fucilieri, mentre gli altri cantano e danzano lentamente in tondo. Poi ad un preciso comando, puntano i vecchi schioppi verso terra e fanno fuoco (a salve) con grande fragore. Il tutto si ripete quattro, cinque volte fino ad arrivare in una piazzetta piena di gente.

La danza dei suonatori e fucilieri.

         Terminata la preghiera, iniziano la loro marcia con passo cadenzato intonando un canto. Non vedo arrivare Vittorio, non mi rendo conto che il camping non è poi tanto vicino. Nel frattempo il gruppo inizia a formare un cerchio, la danza continua incessante, interrotta soltanto da un grande “botto” e tanto fumo bianco.
        Lungo la via, le donne ed i bambini più piccoli assistono allo spettacolo dall’uscio di casa. I bambini più grandi affiancano i fucilieri cercando di imitarli, sono consapevoli che tra qualche anno anche loro entreranno a far parte attiva di questa antica tradizione. Vittorio è tornato ed inizia a riprendere le persone che  seguono il corteo che avanza con canti e batter di mani.


Le donne ed i bambini da una parte.

       Balli, canti e spari si ripetono varie volte. Ad ogni fermata il riarmo dei fucili ad avancarica con l’inserimento della polvere da sparo e stoppino diventa un rito, il tutto compattato con la bacchetta. Poi si riparte verso le prossime soste fino ad arrivare alla piazza più grande, la più importante del quartiere. La cornice è un quadro d’altri tempi, seduti in prima fila tanti anziani con i loro volti segnati dal tempo. Sicuramente anche loro un tempo hanno preso parte a queste cerimonie. Di fianco, ancora donne e bambini che attendono l’epilogo della festa.


Generazioni

      Arriva il corteo, i partecipanti iniziano a formare un grande circolo mentre alcune spettatrici emettono i caratteristici suoni con la bocca. Vittorio sale sopra un muretto per riprendere meglio la scena, io scatto le foto dal basso, speriamo vengano bene dato il continuo movimento dei personaggi.
          Iniziano le danze, i fucilieri hanno formato una corona che si muove lentamente in circolo, al centro si alternano suonatori ed altri danzatori, per lasciar posto poi al gran cerimoniere che con movimenti roteanti del suo fucile da gli ordini di preparazione per lo sparo finale.  Il frastuono è enorme ed il fumo investe tutta la piazza, per un attimo non si vede nulla ma con il dilatarsi della “foschia” si nota la soddisfazione di tutti i partecipanti.


 Riprese ravvicinate.


Lo sparo finale.

         Ancora una piccola riunione, tutti insieme per la preghiera finale di ringraziamento, tutto è andato bene, nessuno si è ferito.


Il ringraziamento.

      Oggi per noi è stata una giornata fortunata, inattesa ma tanto sperata. Tutto molto bello. Ieri i dromedari, oggi i fucilieri e domani? Speriamo ancora qualcosa di interessante.

       Per vedere il videoclip della festa   http://www.youtube.com/watch?v=ZkxoxOK0iUE


                                                                                              Anna Maria Rosati