venerdì 15 giugno 2012


Questo articolo è stato pubblicato, sulla rivista mensile “PlenAir”
                                          Settembre 1996
                                                 Libia, primavera 1995

                                               L’ultimo dei “viaggi liberi”
                Dopo il 1995, la Libia turistica non è stata più la stessa, infatti dopo quella data, i viaggiatori non hanno potuto più viaggiare in libertà nel paese, ma essere accompagnati da una guida locale. Dal nostro punto di vista il paese ha perso parte del suo fascino, e dell’avventura.
                Quello che vogliamo raccontare è il diario di viaggio di un inizio di primavera del 1995, l’ultimo dei “viaggi liberi”

                Da dodici anni con il nostro fido “Caimone” (un camper Mirage su Ford Transit) trascorriamo le vacanze nei Pae­si nordafricani o mediorientali. L'estate del '95 ci ha visto rag­giungere la Libia, e agli altri let­tori desideriamo proporre i mo­menti salienti della nostra espe­rienza in questo interessantissi­mo Paese.

                                              L'arabo? Non è un problema
                Per nostra comodità ci imbar­chiamo da Trapani per Tunisi, at­traversando velocemente la Tuni­sia per entrare in Libia alla fron­tiera di Ras Jadir (una scelta ob­bligata, dal momento che è l'unica aperta agli europei; Nalut è solo per i nordafricani, quella di Gadames era chiusa). Le formalità doganali sono ab­bastanza veloci per la concezio­ne araba del tempo: ce la cavia­mo con un paio d'ore compresa la sostituzione della targa del camper, una procedura normale anche in altri paesi islamici poi­ché alcuni poliziotti non cono­scono altra lingua se non appunto l'arabo. Nel fare il punto della situazione e nel programmare i giorni successivi, ci rendiamo però conto di avere il problema inverso: in arabo infatti sono scrit­ti anche tutti i cartelli stradali. Ma risolveremo la questione il gior­no successivo con un piccolo stratagemma che si rivelerà par­ticolarmente utile nel corso del viaggio: su un foglio annotiamo, in ordine di percorrenza, i nomi di tutte le località che intendia­mo toccare, e un funzionario del consolato italiano ce li trascriverà in lingua locale.

    Cartelli stradali, rigorosamente in arabo
                Senza difficoltà siamo intanto giunti a Tripoli, dove le vetture e i rarissimi camper vengono accolti in enormi parcheggi. In Libia in­fatti non esistono campeggi, e per pernottare in sicurezza basta chie­dere alla polizia locale che indi­cherà il posto più adeguato. Presentarsi alle autorità, inoltre, è un gesto consigliato per la tranquil­lità di tutti, turisti e locali.
                                                            Benedetti nomadi

                    Tralasciamo di visitare la capitale, che vedremo al ritorno, e ci diri­giamo subito verso le città roma­ne di Sabrata e Leptis Magna, a po­chi chilometri da Tripoli: due siti che da soli varrebbero il viaggio. Sabrata, con il suo monumentale teatro (senz'altro tra i più belli al mondo) e le rovine che si sten­dono in riva al bellissimo mare per oltre un chilometro, offre al visi­tatore una miriade di ben conser­vati reperti. Il custode ci concede di pernottare all'interno del sito; unica formalità, il deposito dei passaporti.

    Il teatro di Sabrata

    Il teatro di Leptis Magna

                Leptis Magna, la città di Settimio Se­vero e di Caracalla, emerge per la raffinatezza delle architetture, la cui bellezza fa quasi impallidire quel­la di Roma. Anche qui splendido il teatro, al quale si aggiungono il fo­ro con annessa basilica e centinaia di capitelli marmorei raffiguranti volti femminili; per non dire dell'ar­co, ancora intatto, che celebra il trionfo di Settimio Severo. Il buono stato di conservazione, del resto, è caratteristica comune ai due siti grazie al clima secco, alla mancanza di smog e a un det­taglio storico che qui ci piace ri­cordare: il tradizionale nomadi­smo dei popoli di queste terre, che non suscitò il bisogno né il desi­derio di smantellare colonne, tem­pli e palazzi per reimpiegare i blocchi di marmo nella costru­zione di altri edifici. Sulle colline della Cirenaica rigo­gliosa di verde, tra gli oleandri in fiore, ci attende un'altra tappa ar­cheologica: Cirene, la città prima greca e poi romana, i cui resti si stendono su un'area che copre di­versi chilometri quadrati. Riscen­diamo poi verso la costa raggiun­gendo Tolemaide e Apollonia, do­ve alterniamo le visite alle acropoli con il relax marino in un'incante­vole baia. Ad eccezione di alcune bambine in costume, le donne, le rare volte in cui fanno il bagno, sono vestite; e Anna Maria, ade­guandosi all'uso locale, si immer­ge in maglietta e bermuda. Va poi ricordato che al di fuori degli sta­bilimenti per turisti il costume da bagno è sconsigliato. 
                                                               Ai Laghi Salati

             Per affrontare il seguito del viag­gio, che ci vedrà raggiungere il de­serto, è d'obbligo far ritorno a Tri­poli da cui poi si scende nel Fezzan. Strade interne ce ne sareb­bero, ma sono sconsigliabili per­ché attraversano zone petrolifere prive di centri abitati, con lungi tratti di strada dove, paradossal­mente, non esiste la possibilità di rifornirsi di carburante (è bene in­fatti provvedersi di almeno una ta­nica di scorta, e a richiesta i ben­zinai danno informazioni sui di­stributori successivi).
                Come all'andata ci fermiamo a dor­mire a Sirte, una moderna città do­ve il colonnello Gheddafi vorreb­be spostare la capitale. Raggiunta Tripoli ne approfittiamo per una visita al nuovissimo museo ar­cheologico della cittadella; ne va­le la pena, ma nel complesso di­remmo che la città non richiede più di due o tre giorni di permanenza. Ed eccoci sulle strade che ci porte­ranno fino al deserto. Ore e chilo­metri scorrono via rapidamente e piacevolmente, anche grazie alle ot­time condizioni dell'asfalto, e in se­rata arriviamo a Gariyat, un incro­cio di strade statali, quattro case e un grande distributore. In una piazzola adiacente, tra auto e camioni­sti locali, pernottiamo anche noi.
            Proseguiamo per la regione del Fezzan: centinaia di chilometri di aride pianure, strade pochissimo frequentate (in tutto il tragitto con­teremo solo cinque auto), attra­versiamo la città di Sabha e pro­seguiamo ancora per cento chilo­metri fino a New Gabron, un paesetto piccolo e moderno (non segnato sulla carta che abbiamo) dove ci attende il signor Reda del­la compagnia Fezzan Tour, che or­ganizza escursioni in fuoristrada ai Laghi Salati di Mandara.

    Le difficili piste per i laghi salati

    Siamo quasi arrivati

            Dopo l'immancabile contrattazione, par­tiamo all'alba accompagnati dalla guida Amar a bordo di un Toyo­ta, lasciando il camper nel giardi­no recintato di casa Reda (dove abbiamo anche pernottato). I Laghi Salati prendono nome dal più grande, il Mandara, che però troviamo asciutto (ci dicono che in dicembre l'acqua c'era). Viaggiamo tra dune multiformi per una qua­rantina di chilometri fino a quando, emozionati e increduli, ci appare il suggestivo lago di Gabron, uno specchio blu alle falde di una duna immensa, contornato da palme e lussureggianti canneti. Il caldo è no­tevole ma sopportabile, non es­sendoci umidità (consigliati i mesi da ottobre a maggio, caldi ma non proibitivi gli altri mesi, come ab­biamo potuto verificare).

    Il lago di Gabron

            Ancora una tappa di quattrocento chilo­metri, con il paesaggio interrotto solo da qualche duna di sabbia co­lor oro. Ma a cento chilometri da Ghat si leva una catena montuosa che si snoda come una moltitudi­ne di onde gigantesche, tutte ugua­li: è il confine naturale dell'Akakus. Ghat, estrema città sud-occidenta­le della Libia, ci accoglie al tra­monto. Notiamo subito la vecchia medina intonacata di fango color bronzo. Sulla strada principale tro­viamo più di un'agenzia specializ­zata per i tour nel deserto: ne visi­tiamo alcune e decidiamo per la “Emeran Tenery for Travel and Tourism” (che consigliamo caldamen­te). Ci accordiamo sul prezzo e de­cidiamo di partire il giorno se­guente: il fuoristrada che ci ac­compagnerà nell'Akakus è un Toyota molto capiente e in ottimo stato. Nei quattro giorni in cui sa­remo nel deserto, lasceremo il cam­per custodito nel parcheggio a pa­gamento dell'unico albergo della città.
                                                     Un viaggio nel viaggio

            I nostri tre accompagnatori tuareg, Isa l'autista, Mohammed il cuoco e Hamma Mohammed la guida (detto "Gran Babà") sono seduti sui sedili anteriori, noi, su quelli posteriori, tut­to l'occorrente per i bivacchi è sti­pato nel capiente bagagliaio. Par­tiamo nel pomeriggio per evitare le ore più calde; ci lasciamo alle spalle i monti che cingono il de­serto e risaliamo i canyon dove, due o tre milioni di anni fa, scor­revano fiumi impetuosi. La luce del sole calante crea effetti sur­reali: ci guardiamo continuamen­te intorno, quasi storditi dalla bel­lezza del paesaggio che muta con il passare dei chilometri.

    I colori del Sahara

    Siamo affascinati

    Incredibili archi
   
            Sotto una grande roccia a forma di cattedrale facciamo il primo cam­po; di fronte a noi una grande du­na illuminata dal sole che sta tra­montando. Mentre io preparo la tendina per la notte, Anna Maria chiede al cuo­co di aiutarlo nel preparare la ce­na: abbiamo l'impressione che que­sto non sarà il viaggio di due turi­sti e di tre accompagnatori ma di cinque amici. Nei tre giorni seguenti nell'Akakus passiamo da una me­raviglia all'altra: dalle ricche pittu­re rupestri alle dune multicolori, al­le rocce che nascono dalla sabbia come giganteschi monoliti, mo­dellati dal vento e dalle acque prei­storiche. Altrettanto belle sono le notti: il cielo è bianco per quante stelle si vedono, e alcune cadono creando effetti pirotecnici.

    Il primo campo 

    I caldi raggi del tramonto


            Quattro giorni sono appena suf­ficienti per farsi un'idea di cosa è l'Akakus: forse il prossimo anno sceglieremo il tour di quindici giorni, e questo pensiero ci rende meno difficile riprendere la via del ritorno. Per novecento chilome­tri ricalchiamo la stessa strada dell'andata fino al bivio di Gariyat. Qui deviamo per visitare Gadames e Nalut, due caratteristiche città sahariane. La prima, immer­sa in una piccola oasi, è stata di­chiarata patrimonio nazionale dall'Unesco; l'altra è invece in sta­to di abbandono, se si eccettua una piccola parte ancora visitabi­le. A Nalut cerchiamo di convin­cere l'ufficiale di frontiera a farci passare, ma riceviamo un cortese quanto fermo rifiuto. Così, dopo questi trentasette indimenticabili giorni, ci dirigiamo a Ras Jadir per attraversare la Tunisia dove ci aspetta il traghetto che, questa vol­ta, ci sbarcherà a Napoli.
                                                                    Anna Maria e Vittorio Fraleoni

Nessun commento:

Posta un commento