lunedì 1 ottobre 2012


                                           Una visita a Persepoli

            Lasciamo la città di Isfahan per andare a Shiraz. Durante il trasferimento faremo una leggera deviazione per Pasargade, Naghsh-é Rostam e Persepoli.

Un lungo itinerario percorso tante volte

            Ci fermiamo davanti una postazione militare a Izad Khast, dove un giovane ufficiale ci fa pernottare.
            Abbiamo riposato bene. Alle otto, il militare accompagnato da due colleghi ci da il buongiorno, cortesemente ci chiede a che ora proseguiremo per Shiraz, forse non possiamo sostare oltre. Poco dopo ci mettiamo in moto, ma la nostra marcia si arresta presto; siamo fermi ad un distributore di carburanti per mancanza di corrente.

I simpatici addetti al distributore 

            La strada gira verso est e attraversa un deserto piatto e brutto, le uniche asperità sono dei cespugli secchi, in lontananza delle montagne polverose chiudono l’orizzonte. Il clima sta cambiando, c’è un po’ di polvere in sospensione.
            Sulla statale ci sono molte pattuglie di polizia. Anche qui sono arrivati da tempo i rilevatori laser di velocità. Siamo diretti a Pasargade, l’antica capitale achemenide fondata da Ciro il grande verso il 546 a. C. Un cartello stradale indica che mancano quaranta chilometri, ma per arrivarci ne faremo sessanta. Nelle vicinanze dell’ingresso del sito archeologico troviamo un bellissimo ristorante; è aperto da poco, qualche anno fa non c’era. Ne approfittiamo per pranzare.
            L’area da visitare è talmente vasta, che nell’interno si viaggia con i mezzi propri. Il più importante monumento è la tomba di Ciro, un edificio a gradoni con grandi pietre squadrate, e il tetto a spioventi di pietra, il suo interno doveva contenere il sarcofago del Grande Re.

La tomba di Ciro il Grande

            Tutto intorno oggi è molto curato, diversi cartelli in farsi e in inglese ne raccontano la storia. Purtroppo l’opera archeologica è circoscritta da una impalcatura, un custode ci dice che ci vorrà ancora un anno per terminare il restauro.

Alessandro Magno disse: "una tomba così semplice per un uomo tanto grande"

            Il giro continua tra resti di grandi palazzi con le nicchie votive scavate nel marmo.

Il cavalletto ci fa sempre belle fotografie

          La strada in salita va verso il “trono della madre di Salomone”, una costruzione squadrata di cui resta soltanto il grande basamento rivestito di lastre calcaree adagiata su una collina.  Nel suo interno si trovano alcuni ambienti sotterranei, forse dei magazzini. Da quassù si gode un ottimo colpo d’occhio sulla valle sottostante. Si è alzato un vento teso, tra le fenditure dei marmi ci devono essere dei nidi di falco, perché approfittando delle folate, alcuni falchetti provano il primo volo.

il “trono della madre di Salomone”

            Avvicinandosi verso Persepoli, ci fermiamo a Naghsh-é Rostam. Una zona con quattro tombe reali scavate nella roccia, tutte di notevole altezza e pregio.

Una panoramica di Naghsh-é Rostam

            I sepolcri appartenevano a re come Dario, di suo figlio Serse (il re che ha combattuto alle Termopili)  ed altri re a loro succeduti. Peccato per le fotografie che questi monumenti siano in leggera ombra, ne godremo visivamente.

La tomba di Serse

Tombe di dimensioni faraoniche

            La particolarità del luogo sta nel fatto che questo sito è stato vissuto per oltre un millennio. I primi rilievi risalgono a circa l’anno mille a. C., le tombe reali sono state realizzate tra il quinto ed il terzo secolo a. C., mentre alcuni grandi bassorilievi raffigurano l’imperatore romano Valeriano fatto prigioniero dal re sasanide Shapour nel duecento sessanta d. C.
             Passeggiando sotto le pareti rocciose dove sono intagliate le tombe, ci sono varie sculture pregevoli, bassorilievi che rappresentano le vittorie dei re persiani sugli imperatori romani. Vittorio scherzando dice “ non è piacevole vedere due imperatori come Valeriano e Giordano III°, in ginocchio davanti al cavallo  di un re achemenide”, poi aggiunge “se ne potevano sta a casa”.

L'imperatore Valeriano, sconfitto da Shapour I°

            Di fronte alle tombe si trova una costruzione isolata in marmo bianco, la sua altezza supera i dodici metri, dovrebbe trattarsi di un tempio zoroastriano, l’antica religione preislamica iraniana. Nel frattempo sono arrivati alcuni turisti giapponesi in maggioranza donne, credo siano gli stranieri più numerosi in terra persiana; sono vestite all’occidentale con camicette corte da far vedere le forme.

 Turiste giapponesi

            Scambiamo qualche parola e insieme ci dirigiamo ai margini del sito; qui, quasi nascosta c’è una bellissima scultura, l’investitura del re Ardashir I°. Il fedele cavalletto ci fa una buona foto.

l’investitura del re Ardashir I°

            Rispetto a dieci anni fa il sito ci sembra migliorato, sul posto si trovano depliant e cartelli con le informazioni turistiche; anche se, solo nelle lingue persiana ed inglese. Normalmente, per non rimanere delusi, diciamo di non tornare più nei luoghi visitati. Questo non vale per l’Iran, qui le cose migliorano, evidentemente stanno riscoprendo l’importanza delle antichità preislamiche.
            Torniamo sulla statale Isfahan – Shiraz, di fronte il bivio si trova Naghsh-è Rajab, c’è una località minore dello stesso periodo sasanide. A differenza delle altre località archeologiche, questa non è visibile dalla strada, i quattro bassorilievi sono dietro strette insenature rocciose. Un rapido sguardo ne vale la pena.

Il sito archeologico di Naghsh-è Rajab

            Siamo vicini alla nostra meta, Persepoli.  Tra quattro chilometri saremo davanti la scalinata della antica città, ci sentiamo emozionati come la prima volta. Poco dopo cambiamo di umore, la vecchia strada è stata chiusa, questo ci costringerà ad un lungo giro prima di arrivare.
            Come dicevo prima, a volte le cose migliorano, le autorità hanno voluto fare le cose in grande, un ampio viale  lungo tre chilometri costeggiato da parchi,  danno il benvenuto ai visitatori. Il parcheggio davanti il sito è stato sostituito da una zona pedonale. Vicino le biglietterie trovano collocazione ristoranti, negozi di souvenir e sale da tè. È stata realizzata una ampia area di sosta controllata. È qui che passeremo la notte.
            Giusto il tempo di parcheggiare che un violento, quanto passeggero temporale si abbatte sulla zona; meglio così, si abbasserà la polvere in sospensione. Dalla finestra del camper si vede il palazzo di Dario. Questa sera ceneremo con un bel panorama.

Dalla finestra del camper

            Manca ancora un poco al tramonto, mi metto a riposare mentre Vittorio proverà ad entrare prima della chiusura del sito. Al suo ritorno mi racconterà che all’ingresso, vista l’ora tarda lo hanno fatto passare senza pagare il ticket. Dopo un breve giro e qualche foto, è tornato a “casa”.

La porta di Serse

            Stamani alle otto siamo già davanti al botteghino. La giornata è limpida, c’è un bel sole e non è molto caldo “l’acquazzone” di ieri ha ripulito l’aria.

Siamo i primi ad entrare a Persepoli

            Già davanti la grande scalinata di accesso si notano i miglioramenti, i gradini di marmo per protezione, sono completamente ricoperti da scalini in legno, ad eccezione di una piccola fascia laterale per farne vedere l’antica sistemazione.
            L’enorme ingresso, la porta di Serse (o delle nazioni) ci accoglie per iniziare l’escursione. Da un lato il portale è scolpito con due statue taurine di notevole grandezza; nel lato opposto con la stessa grandezza altre due, ma di influenza assira, le attraversiamo per fotografarle in tutti i particolari. Da questa postazione si ha la visione dell’Apadana nella sua interezza.

 Il lato interno della porta di Serse

Il grande complesso della porta di Serse o delle Nazioni

            La scalinata delle nazioni, che porta sull’Apadana  è ancora coperta da una tettoia in metallo, rispetto a dieci anni fa però è verniciata di bianco e, della vecchia ruggine non c’è più traccia. Qui  si riunisce la maggior parte dei visitatori, le pareti alte delle rampe di accesso sono decorate con raffinati bassorilievi, raffigurano la processione dei rappresentanti delle ventitré nazioni sottomesse, oltre ai cortigiani  e la guardia reale di Dario I° il grande. Le incurie del tempo e dell’uomo non hanno intaccato questo capolavoro.  

 Studentesse in visita

 Un particolare del basamento della scalinata delle nazioni


Un particolare della della scalinata delle nazioni

            L’ Apadana, Il più grande degli edifici del complesso, è costruito al di sopra di una terrazza in pietra, una posizione dominante rispetto alla città, comprendeva una grande corte centrale delimitata da una settantina di altissime colonne. Oggi in piedi ne restano tredici, hanno dei capitelli particolari.

Sullo sfondo il palazzo dell'Apadana, a sinistra il palazzo di Dario

            Sotto la pensilina sono radunate alcune scolaresche femminili, tutte bambine con il maghnaé  bianco, il classico copricapo delle studentesse. Vittorio intona una canzone in lingua persiana, una filastrocca per imparare i giorni della settimana, un vero spasso perché studentesse ed insegnanti gli hanno fatto il coro.

Sono tutte sorprese, per la canzone in lingua persiana

            Poco più avanti il palazzo di Dario, è abbastanza intatto. È costruito con grandi blocchi di pietra difficilmente rimovibili. Lo possiamo fotografare solo da fuori, nell’interno ci sono lavori di restauro.

Il palazzo di Dario

            Tutte le colonne dei vari ingressi al palazzo, riportano le stesse figure, mostrano il re vincitore nella lotta con un leone, mentre sulla base marmorea del palazzo, è scolpita la parata dei diecimila immortali, la guardia imperiale del re.

Uno dei rilievi dei grandi portali

La base del palazzo di Dario

            La visita continua con il palazzo delle cento colonne (conosciuto anche come la Sala del Trono), e il palazzo di Serse.

 L'ingresso del palazzo di Serse

Il palazzo di Serse o delle cento colonne

            Vittorio sale sulla vicina collina per fotografare una delle tombe reali e per riprendere Persepoli dall’alto. Al suo ritorno alcuni ragazzi si fermano a parlare con noi ed anche per fare una fotografia insieme.



            Facciamo ancora un giro, il posto è suggestivo, ci sono tanti particolari da riprendere, facciamo ancora foto per essere sicuri di non aver dimenticato nulla
            Il sito si è riempito, rari i turisti stranieri, molti gli iraniani, d’altra parte siamo a pochi chilometri da Shiraz, una delle più grandi e belle città dell’Iran. In questa nazione, nei luoghi storico-culturali abbiamo sempre trovato una grande partecipazione delle scuole. Scolaresche di tutte le classi, dalle elementari ai vari licei visitano questi spazi insieme ai loro insegnanti.
            Lasciamo l’acropoli, ci dirigiamo verso i negozi di artigianato che questa mattina erano ancora chiusi. Veniamo avvicinati da un gruppo di simpatiche ragazze, sono curiose, quando diciamo che siamo italiani, vogliono sapere tutto di noi, di questi due personaggi che viaggiano da soli in terra persiana.

Tutte studentesse ... tranne una

            Anche questa volta lasciamo Persepoli con dispiacere, questo particolare luogo storico ha visto l’inizio di una nuova cultura, continuata con Alessandro Magno, la Grecia e la magna Grecia, per terminare con l’impero della Grande Roma.
                                                                                              Anna Maria Rosati

domenica 16 settembre 2012


                               Una visita a Kalabougou (Mali)

         Con il nostro camper stiamo attraversando il territorio del Mali, ci troviamo sulla statale che ci condurrà a Segou.

 L'itinerario dei novemila chilometri per arrivare in Mali

            Sapevamo di aspettarci l’asfalto rovinato ma non pensavamo mai di doverci districare tra buche e “voragini”. Spesso dobbiamo abbandonare la normale viabilità a favore della vicina pista camionabile. In Mali la percorribilità delle strade è lenta, a causa dei continui controlli da parte delle autorità. Si alternano a distanza di pochi chilometri: polizia; gendarmeria e dogana, oltre a lunghe serie di rallentatori prima e dopo ogni villaggio.

Quel che resta dell'asfalto
            Lungo il cammino, una vegetazione rigogliosa ci accompagna, altissime palme si alternano a maestosi Baobab, vere sculture viventi, ci fermiamo per fare qualche foto, specialmente nelle vicinanze dei piccoli villaggi pieni di bambini che giocano.

 Un albero di Bao bab, ancora spoglio

I bambini ci salutano al nostro passaggio

            La strada migliora in prossimità di Segou, il lungo rettilineo che fiancheggia il grande fiume Niger ci porterà a destinazione; il motel “camping Savane” poco distante dal centro. Ci arriviamo nel tardo pomeriggio, ci meritiamo un giusto relax dopo quasi trecento chilometri di “Bum, Bum, Bum”.

L'hotel camping, Savane

            Al mattino ci svegliamo con il canto degli uccelli, classico “trillìo” della foresta. Durante la notte abbiamo combattuto con una zanzara. Anche se questo non è il periodo, temiamo per la malaria; verso le quattro, il canto dei muezzin, poco dopo un suono di campane, segno evidente della presenza di una comunità cristiana.
            Oggi è prevista una escursione in pinassa, le classiche imbarcazioni che navigano per tutto il fiume Niger. Indossiamo camicie con maniche lunghe per precauzione, con le zanzare non si sa mai. Dal camping con un taxi raggiungiamo la piazza antistante il porto.

La "nostra" imbarcazione

            Deve essere giorno di mercato, la piazza è affollata di venditori, sono tutte donne con i loro abiti multicolori ed i loro caratteristici copricapo. È ancora presto, pian piano tutta l’area si sta animando con l’arrivo dei primi clienti.

Il grande mercato all'aperto

            Nell’attesa dell’ora prefissata per la partenza, passeggiamo tra i banchi, rari in verità la maggior parte delle mercanzie è adagiata in terra protetta dalle stuoie. È esposta la merce più varia, dalle verdure alla frutta, dagli articoli per la casa alle coloratissime stoffe, poi patate e tuberi di ogni genere. Sotto la poca ombra di un albero spoglio, una signora vende il suo vimini per la creazione di cestini.

Ancora è presto per l'arrivo dei primi clienti

Il copricapo coordinato con il vestito

            Ci avviciniamo all’imbarco, tra una sponda e l’altra del fiume le pinasse si incrociano con il loro carico, talvolta di merci o legname, altre volte affollate di gente come sui nostri autobus nelle ore di punta. 

Imbarcazioni super affollate

            La nostra barca è capiente, lunga e slanciata, con la chiglia piatte come tutte le imbarcazioni fluviali; è tutta addobbata per trasportare i turisti con la copertura per proteggersi dal sole. La navigazione è lenta, come è lento l’andamento del grande fiume. Questo ci permette di vedere e fotografare la vita quotidiana che si svolge sulle sue rive.

L'imbarcazione "preparata" per i turisti

             Il Niger in alcuni tratti è talmente largo da permettere la presenza di alcune isole abitate nel suo letto. Una di queste è l’isola di Kalabougou, da cui l’omonimo paese, è li che siamo diretti, un villaggio genuino poco conosciuto dal turismo di massa. La gita in barca è rilassante e piacevole, nonostante la giornata calda.
            Contrarie al nostro senso di marcia, altre imbarcazioni, sono dirette a Segou, quel mercato deve avere un buon successo. Vicino le rive è fiorente la vegetazione delle ninfee, sopra le grandi foglie passeggiano gli uccelli acquatici dai mille colori in cerca di cibo, il lento incedere dell’imbarcazione ci permette di riprendere qualche immagine.

Il lavaggio delle pentole con la sabbia

            Dopo circa un’ora arriviamo sull’isola, la particolarità del luogo sono le terrecotte realizzate artigianalmente dalle donne del villaggio. Appena scesi dalla barca, veniamo avvicinati da due bambini, ci guardano senza dire niente, poi continuano a seguirci per tutto il percorso.

Arrivano i primi bambini

            Le case del villaggio, semplici ed essenziali, sono costruite con mattoni crudi intonacate con paglia e fango; materiali umili ma che nel mondo, danno riparo a milioni di famiglie da migliaia di anni. Ci affacciamo in una di queste, una donna ci invita ad entrare, è intenta ad attaccare il bordo di morbida argilla ad un otre di medie dimensioni.

La rifinitura del vasellame

            In altre occasioni e in paesi lontani, abbiamo visto vasai all’opera con il tornio nel modellare la creta, a volte fatto girare con i piedi a volte con le stesse mani, ma qui è differente, non usano il tornio, le lavoratrici con passo cadenzato girano intorno al vaso appoggiato sopra una base per tutta la fase lavorativa.

Il bimbo sembra interessato

            Tutto il vasellame, da ornamento o per la casa, è lavorato per tutta la settimana dagli abitanti del villaggio (naturalmente solo donne); poi il sabato e la domenica vengono adagiati sopra uno spazio comune, coperti da grandi fascine di legna per essere cotti alla luce del sole, un falò grande come la piazza che lo accoglie. Peccato non essere arrivati in tempo per la cottura. Ci hanno riferito che il lunedì, grandi barche portano il vasellame al mercato di Segou per essere venduto.

Il luogo della "cottura"

            Proseguiamo il giro, altre case, altri vasi da modellare. Comperiamo un portafrutta, non tanto perché ci serve, ma per far guadagnare qualche soldino a queste persone. Nei cortili alcune donne alle prese con altri lavori domestici, con un grosso bastone pestano i cereali dentro il mortaio, quasi sempre con un bimbo piccolo legato sulla schiena.

La "battitura" del miglio   

   Tentiamo di fotografare senza infastidire la gente. Nel frattempo siamo circondati dai bambini che sempre più numerosi formano un corteo dietro di noi. Abbiamo entrambi le mani impegnate, ogni bambino con tenerezza ci stringe un dito guardandoci con i loro grandi occhioni neri. Camminiamo quasi a fatica, ci dobbiamo adeguare ai loro piccoli passi, non ci lasciano un attimo, sembrano felici di questo incontro.

 Siamo circondati dai bambini   

            Non possiamo dire che qui la gente è indigente, vivono con semplicità, come hanno vissuto i loro padri e i loro antenati da centinaia di anni, lavorando l’argilla e coltivando i campi. Non vediamo persone denutrite, ne tantomeno bambini sofferenti.
            Ci fermiamo a “parlare” con una signora dalla pelle color del mogano. Ha un aspetto regale, ci mostra il suo bambino, capiamo che è originaria dell’Etiopia. A volte con pochi gesti e qualche sorriso si può dialogare.

Un simpatico incontro

            La visita prosegue girando tra le strette viuzze ricoperte di sabbia, i bimbi continuano a seguirci, arriviamo nella piazza dove soltanto ieri si sono spenti i fuochi, qua e la in mezzo alle ceneri, è rimasto qualche vaso rotto. 

Non tutto si recupera
       
            Lungo la riva si svolgono i lavori domestici, chi e intenta a lavare la biancheria chi a lucidare le pentole che brillano al sole. Sempre e solo donne, oggi non abbiamo visto una figura maschile.

Faccende domestiche

            Il tempo della visita è terminato, la pinassa che ci porterà indietro è pronta a salpare. Ringraziamo i bambini, che tenendoci per mano fin qui ci hanno fatto compagnia, man mano che la barca si allontanava,  li abbiamo visti salutare e qualcuno piangere. Ci si è stretto il cuore.

Il saluto dei bambini, quando lasciamo il villaggio

            Chissà quante realtà come questa ci sono nel Paese, sicuramente una infinità, poi quando le tocchi con mano ti fa un altro effetto e, pensi a quanto superfluo c’è nel mondo occidentale.
            Il sole è all’apice, ma l’effetto dell’acqua non fa sentire il caldo. Ci accostiamo troppo alla riva, l’acqua è bassa ed il motore tocca sul fondo. Il barcaiolo a mo’ di gondoliere con un grosso remo spinge e riguadagna la giusta profondità. Davanti a noi, approfittando del basso fondale un gruppo famigliare attraversa il corso d'acqua con mucche e capre, tenendo un capretto in collo per non farlo affogare.

la "transumanza"

            Sulle piccole spiagge ancora scene di lavori domestici, si riempiono le otri (formate da grandi zucche essiccate) d’acqua per irrigare i semplici orti, un lavoro veramente duro.

L'innaffiamento dell'orto

            Siamo quasi arrivati, per un tratto ci affianchiamo ad un piccolo traghetto che fa la spola tra le due sponde, è carico di gente, Vittorio scatta una fotografia mentre una graziosa ragazza lo ammonisce con un dito.

Il ponte del traghetto

            Ci troviamo nuovamente al centro del mercato, si fa fatica a camminare per il flusso di persone, sono aumentati anche i venditori con altrettante mercanzie. Velocemente, per il “profumo”, ci lasciamo alle spalle i mercanti di pesce essiccato.

Le venditrici di pesce

            C’è molta confusione, tutte le strade intorno a noi è un via vai di persone, tutte donne, come donne sono le venditrici con tanto di figlio legato dietro le spalle. Non avevo mai visto prima, tanti bambini così in tenera età. Molto spesso ho notato madri con un bimbo in braccio, uno dietro le spalle ed uno in grembo. 

Il mercato si è affollato

            Passiamo davanti un hotel ristorante, ci da fiducia ed entriamo. Nel suo interno un bel giardino ombroso ci ripara dalla calura. Anche il cibo è stato buono, lo ha anche apprezzato una bella e coriacea  lucertola, che di tanto in tanto veniva a mangiare un po’ di riso che gli porgevamo.

Aspettando il riso

            Ancora un piccolo giro tra le mercanzie. Per riprendere il taxi che ci condurrà al camping dobbiamo attraversare il mercato, ne approfittiamo ancora per qualche foto, la calda luce del tramonto ci facilita il compito. 

Guardando il fiume

            Oggi è stata una giornata intensa, sia per le cose belle che per le emozioni riportate. Questo viaggio si sta dimostrando alquanto interessante, a volte impegnativo.
            Nel tornare a “casa” però,  ho solo negli occhi quei braccini alzati che ci salutano, ed a pensarci bene, di quei bimbetti, non ne conosco neanche un nome.  
                                                                                         Anna Maria Rosati       
            

lunedì 3 settembre 2012


                                      Una visita al Nemrut Dagi

            Con questa breve narrazione di viaggio in terra di Turchia, voglio raccontare di quando con il nostro camper,  siamo saliti sul monte Nemrut, ad oltre duemila metri di quota.

 La lunga strada percorsa tante volte

            Lasciamo la città di Kaiseri, un caldo pomeriggio di metà settembre. Questa sera arriveremo a Katha, la cittadina che useremo come base di partenza per salire sul Nemrut Dagi.
            Stiamo attraversando una vallata stupenda, il percorso si snoda tra colline verdeggianti e monti color ocra. Lungo la strada c’è un anziano signore con un bel faccione che fa l’autostop. Lo facciamo salire, ha con se una grossa accetta, ci fa notare che la deve far riparare perché il manico si è rotto. È simpatico, parla in continuazione, forse non si rende conto che noi non parliamo la lingua turca. 

La bellissima natura dell'altipiano anatolico

            Fuma molto, offre anche a noi le sue sigarette. È seduto davanti, vicino a Vittorio, forse non sarà mai salito su di un camper. Da dietro lo guardo, ha la barba lunga ed un cappello con le falde flosce, la classica figura del vecchio nonno di campagna. Continua a parlare, ci comprendiamo a gesti ed, a gesti ci fa capire che è arrivato a destinazione. Lo lasciamo nel paese di Pinarbesi, nei pressi di un cantiere.
            Il panorama continua con i suoi caldi colori di un precoce autunno, ai lati della strada la fertilissima campagna è piena di alberi da frutta, i loro rami sono carichi di mele dai pigmenti rosa. Ad intervalli regolari, alti filari di betulle dai bianchi fusti, ne dividono le proprietà. La strada inizia a salire leggermente, da questa prospettiva i terrazzi delle case si accendono di un color oro, sono carichi di albicocche messe al sole ad essiccare.

I tetti delle case cariche di albicocche

            Il cammino si fa ruvido quanto la salita. Le strade turche di montagna, forse a causa del gelo sono di un asfalto grezzo e grossolano, da mettere a dura prova le migliori marche di pneumatici. Il valico si trova a mille e novecento metri di altitudine. Siamo nella parte sud-est dell’Anatolia, il vastissimo altopiano della Turchia centrale.
            Da questo passo lo scenario e suggestivo, in lontananza una lunga catena di alti monti che arrivano a quattromila metri. In Turchia, sulla grande viabilità anatolica, ponti, viadotti e gallerie, sono rari; la strade seguono il profilo dei monti. Ripide salite a sfiorare i tremila metri, con altrettante discese, un continuo saliscendi in mezzo a vallate verdeggianti.
            La zona è piena di fiumi grandi e piccoli che scendono di fianco alle strade di montagna. Da prima piccoli ruscelli, poi torrenti impetuosi dalle acque turchine fino ad allargasi per centinaia di metri. Ci troviamo nell’area bagnata dall’Eufrate ed, a circa duecento chilometri scorre anche il Tigri.

Torrenti dalle limpide acque

            Lungo le rive fotografiamo scene agresti, con famiglie vicine ai loro animali al pascolo, alcune ragazze con le gambe nell’acqua, battono la lana sui grossi ciottoli; altre, sciacquano i coloratissimi tappeti nella corrente del fiume, una festa di colori. 

 Mandrie al pascolo

Il lavaggio della lana

            La gente è tranquilla, i bambini si sbracciano nel salutarci al nostro passaggio, qualche adulto ci fa segno che vorrebbe una sigaretta. Le case che incontriamo in questa valle sono modeste, semplici dimore di campagna intonacate con paglia e fango. Sopra tutte svettano le antenne delle televisioni, a volte come palo di sostegno un ramo di albero contorto. Tutto questo è uno stridore con le nuove case e i grattacieli ultramoderni di Istanbul.
            Il sole sta tramontando, ci eravamo ripromessi di non viaggiare di notte, oggi faremo un’eccezione. Dobbiamo assolutamente arrivare e pernottare a Katha, domani prima dell’alba inizieremo la salita del monte Nemrut.
            Pernottiamo nel parcheggio di un albergo, sono le undici di sera, giusto il tempo per mangiare qualcosa e riposare un po’, tra poche ore, alle due del mattino ci avvieremo verso il sito archeologico del Nemrut Dagi.
         Il monte Nemrut (2150 mt), il più alto della zona, si trova al centro della catena del Tauro. Nella sua sommità si trova il mausoleo di Antioco I°, un generale di Alessandro Magno che dopo la  morte del giovane conquistatore e lo scioglimento del suo impero, regnò nella regione di Commagene intorno al 150 a C. Attualmente il sito è patrimonio dell’umanità, protetto dall’UNESCO 

Una ripresa dall'alto del tumulo tra i due templi

     La particolarità di questo mausoleo, sta nel fatto che furono costruiti due santuari uguali, distanti tra loro circa centocinquanta metri, il primo ad est per assistere il sorgere del sole, il secondo ad ovest per salutarlo al tramonto. Tutti e due terminano con una terrazza protesa verso il vuoto.
Per entrambi i templi sono state scolpite cinque grandi statue a blocchi, raffigurano gli dei ellenistici: Antioco I°; Tyche Commagene (la Dea della fortuna); Giove; Apollo ed Ercole. Aprono e chiudono la fila delle sculture maggiori, un aquila ed un leone di minore grandezza. Le statue, alte circa otto metri sono sedute, le teste mancano, nel corso dei secoli e dei numerosi terremoti sono cadute ai loro piedi. Con il restauro del sito (iniziato solo negli anni ’50), le teste sono state raddrizzate, questo le rende ancora più maestose, la loro altezza è di circa due metri, quelle con il copricapo sfiorano i tre metri. Credo che per scolpire questi monumenti, abbiano usato la roccia del luogo, creando di fatto un pianoro in cima al monte.
Lo scarto della lavorazione delle sculture è stato ammassato al centro tra i due templi creando in questo modo un tumulo, una collina dorata di cinquanta metri, ma molto friabile. Leggenda vuole, che Antioco sia sepolto sotto la collina insieme al suo famoso tesoro
Dietro la base di una statua, un epitaffio recita: « Io Antioco I°, re di Commagene, innalzo questo tempio a mia gloria e, degli Dei ». Questo la dice lunga sulla megalomania del personaggio. 



Una ricostruzione di un modellino di uno dei due templi
  
        La sveglia suona all’una e trenta, è come se mi fossi appena messa a letto.  Dopo fatto colazione, rassettiamo in fretta “la casa” e ci mettiamo in cammino. È una bella notte di luna piena con tante stelle. Questo tratto di strada è largo, ci sono pozzi di trivellazione con l’incessante movimento delle pompe, molte luci illuminano i campi petroliferi, sono come isole nella notte. 
            Ci avviciniamo al bivio che con una strada secondaria ci condurrà al Nemrut. La strada si restringe e la pavimentazione è in blocchetti di porfido abbastanza sconnessa. A metà del percorso ci fermiamo presso un locale, davanti ci sono altre vetture parcheggiate, sicuramente escursionisti che saliranno in cima. La nottata è fredda, un buon tè ci riscalderà. Al nostro tavolo sono seduti una coppia di giovani spagnoli, sono simpatici ed iniziamo a conversare. È ancora buio, forse ci siamo mossi troppo presto, ma non possiamo pensare di arrivare tardi all’appuntamento con il sole. Il locale è poco più di una bettola, poca luce ed il camino acceso. I vetri appannati ci indicano che fuori il freddo è intenso; rimaniamo ancora al caldo sorseggiando un buon tè.
            Ci muoviamo in contemporanea insieme agli altri avventori, e torniamo a salire. Alle cinque, parcheggiamo vicino l’ingresso del sito. Fuori c’è un forte vento gelido che taglia la faccia, Ci vestiamo da “alta montagna” con scarponcini da trekking, giacche a vento, cappelli di lana e guanti, La comodità del camper è avere a disposizione il vestiario adatto.         Prepariamo le macchine fotografiche e la torcia elettrica per illuminare il sentiero, dall’ingresso alla cima c’è da camminare una ventina di minuti.

Il sentiero illuminato dalla torcia elettrica

          Alcuni escursionisti salgono sopra gli asini che la gente del posto noleggia per la salita, noi preferiamo salire a piedi. Notiamo alcuni turisti non vestiti adeguatamente per il freddo, altri addirittura con le “espadrillas” e maglietta, sicuramente erano in un villaggio turistico sul mare, avranno prenotato questa escursione senza sapere quello che li aspettava. 
            Il sentiero è agevole, il vento è freddo da togliere il respiro, siamo stati i primi ad arrivare in cima. La grossa torcia illumina il piazzale antistante il tempio, poi pian piano con riverenza giriamo il fascio luminoso verso le statue, i grandi busti non riescono ad essere raggiunti dalla luce, mentre i volti degli Dei più vicini a noi, li distinguiamo benissimo, sono distanti tra di loro ed in ordine sparso. Proviamo a fotografarli tutti, i lampi del flash si susseguono ma anche questi non raggiungono il grosso del tempio.
            Iniziano ad arrivare coppie di visitatori, arrivano anche i ragazzi spagnoli del posto di ristoro, anche loro sono vestiti leggeri, ci facciamo una foto insieme, poi come altri si accucciano vicino le statue per ripararsi dalle fredde folate. 

I ragazzi spagnoli intirizziti dal freddo

            Siamo una ventina di persone ma soltanto io e Vittorio giriamo tra le grandi teste di pietra, poi anche noi nonostante il caldo abbigliamento cerchiamo un riparo. Il vento ti strappa dalle mani la macchina fotografica, è difficile anche a fotografare. 


 Ci si ripara alla meglio dal freddo

           In attesa del sole, scendo una piccola e ripida discesa fino ad arrivare ad una “baracca”. Entro, una luce fioca illumina alcuni tappeti appesi ai muri, poi souvenir e cartoline, ci sono anche quattro brande colme di tappeti, uno di questi “è vivente”, si muove, c’è un uomo che ci sta dormendo sotto; chiedo scusa per averlo svegliato, lui sorride. Qui è possibile prendere un tè, chiamo Vittorio e ci rifocilliamo con qualcosa di caldo.
            Inizia l’aurora e l’orizzonte si tinge di rosa. Quattro ragazzi per riscaldarsi improvvisano una danza. 


Ci si scalda ballando  

          Il colore tenue del cielo, diventa sempre più carico e le piccole nuvole si ornano di un’aureola luminosa. Il sole fa capolino, assisto ad uno spettacolo inusuale; all’orizzonte, la corona dei monti Tauro sono ad una quota più bassa della mia postazione. Non avevo mai visto nascere il sole sotto di me. 


 L'alba sul Nemrut Dagi

           Altra bellissima emozione sono state le grandi teste, mentre guardavo il nascere del sole ed il chiarore impadronirsi dell’area archeologica, ho avuto la netta sensazione di essere osservata. Mi sono voltata, dal buio i grandi “faccioni” di pietra, con i primi chiarori prendevano vita, sembravano muoversi, mostrando tutta la loro imponenza.
            La terrazza est dove ci troviamo, ha i reperti meglio conservati. Iniziamo a fotografare le grandi teste, non è facile perché il freddo intorpidisce le mani, dobbiamo spogliare i grossi guanti da sci che poco hanno a che fare con i minuscoli comandi delle reflex. Quasi tutti i volti hanno un lato rovinato, sicuramente dopo che il terremoto, che le ha fatte cadere su un fianco, la parte rimasta all’aria ha subito i danni dei secoli e delle intemperie. Penso agli artisti che hanno realizzato tutto questo, creando ogni figura con la propria personalità, la sua grinta o la sua dolcezza. 


I resti delle statue       

     Il sole timidamente inizia a riscaldare l’aria, ma il vento teso e gelido, seguita a falciare il monte, a tal punto che nel terreno non cresce un filo d’erba. I turisti rimasti al riparo fino ad ora, escono dalla loro “protezione” ed infreddoliti iniziano a far fotografie. Ci avviciniamo ai grandi busti, i blocchi che li compongono sono molto rovinati nelle giunture, ma la grandezza è evidente. 

 Una delle grandi teste

            Aggiriamo la collina, ci spostiamo sulla terrazza ovest che attualmente è la parte non illuminata. Questo sito, a meno che ci si vuol stare tutto il giorno, andrebbe visitato o all’alba come stiamo facendo noi, o al tramonto per ammirare questa meraviglia al calar del sole. Nonostante le statue siano in ombra, le fotografiamo tutte, anche i particolari. 


Le teste del tempio ad ovest 
           
            Ci muoviamo tra i reperti, si ha sempre timore di tralasciare qualcosa, ripetiamo le foto, non si sa mai. Ci facciamo qualche istantanea con l’autoscatto; il cavalletto, fedele compagno di viaggio, non sbaglia una foto. 



Il cavalletto fa sempre belle foto
       
  Torniamo nella terrazza est, praticamente siamo rimasti soli, evidentemente le visite guidate hanno un tempo ristretto poi, anche il freddo a contribuito a limitarne la permanenza. Adesso il sole è abbastanza alto, anche il vento di levante ha ridotto i suoi effetti. Non oso immaginare il clima invernale di questo monte, sferzato da venti gelidi provenienti dai Balcani.
            Il mausoleo è in piena luce. Ci sediamo un po’ per dare gli ultimi sguardi d’insieme. Siamo gli ultimi viaggiatori rimasti. Il vento non sibila più, nella zona è calato un silenzio assoluto, interrotto ogni tanto dai “cra cra” emessi da velocissimi corvi. 


    Il tempio ad est in piena luce
       
            L’escursione è terminata, ricorderò a lungo questa visita, un luogo unico nel suo genere, credo che Il Nemrut Dagi, valga da solo un viaggio in Turchia.
            Ciao Antioco, megalomane sovrano, forse un giorno torneremo, magari per ammirare il tuo sepolcro con la calda luce del tramonto.
                                                                                              Anna Maria Rosati