sabato 28 luglio 2012


                                                        Una visita a:
                       Algeria, escursione nel deserto della Tadrart
            Dopo aver attraversato con il nostro camper tutta l’Algeria, siamo arrivati a Djanet con qualche piccola difficoltà dovuta alle pessime condizione delle pavimentazioni stradali. Non posiamo proseguire oltre, la strada pseudo asfaltata, finisce qui. Da Djanet non escono altre strade, soltanto piste per La Libia, Niger, Mali e Tamanrasset.

L'attraversamento del Sahara
            Ci parcheggiamo nel camping “Zeriba”, classico campo base per tutte l’esplorazioni per i vari “hoggar”. Dobbiamo contattare un’agenzia del posto per farci organizzare una escursione nel deserto con fuoristrada e tenda.
            Abbiamo conosciuto Mr. Djaba titolare della Takassit Voyages che con la sua organizzazione ci permetterà di realizzare il desiderio di vivere il deserto … quello vero. Djaba è un tuareg, alto, scuro di carnagione e di gradevole aspetto, parla molto bene italiano e durante l’anno, vive per molti mesi in Italia.
                                                          1° giorno di escursione
            Al mattino di buon ora, con l’autista e guida Ahmed ed il cuoco Aziz, dopo aver caricato il nostro equipaggiamento compresa la tenda. Salutiamo Astroronak, il nostro camper che si riposerà durante la nostra assenza e lasciamo il camping. Al primo distributore riempiamo i serbatoi di carburante, la riserva d’acqua e le bombole del gas. Per una settimana non troveremo né villaggi né tantomeno luoghi per il rifornimento.

Con i nostri compagni di viaggio
            Lasciamo Djanet in direzione dell’aeroporto. Una strada terribile, la macchina sobbalza per le grandi buche sull’asfalto, entriamo sulla morbida sabbia ed inizia il “galleggiamento” si va a gran velocità sopra una superficie soffice. I due accompagnatori parlottano tra di loro ed ascoltano una musica maliana molto ritmata.
            Stiamo percorrendo il letto di un antico “ouadi”, un mare di sabbia dorata, alla nostra sinistra cumoli di sassi neri, sembrano di granito che pian piano formano delle colline, un vero contrasto con l’oro del deserto. Incontriamo le prime “gravure” incisioni rupestri di oltre cinquemila anni, in questa breve sosta mentre noi facciamo le foto, Ahmed ne approfitta per tagliare un po’ di legna da un albero secco.

Le prime incisioni

La riserva di legna
            Transitiamo dentro il letto del fiume in secca, in questo tratto è più largo di cinquecento metri. Circa alle ore dodici facciamo il primo campo per il pranzo, un vecchio albero di acacia ormai secco, ci offre un poco della sua ombra, il luogo si chiama Imaharhaten. Siamo al centro di una conca, come cornice una collina nera bruciata dal sole, una separazione netta con il biondo colore della sabbia.
            Con sorpresa, notiamo che Aziz prepara il pranzo con prodotti italiani, dal parmigiano reggiano, all’olio extravergine di oliva e, addirittura l’aceto balsamico di Modena; tutte delizie che Djaba porta con se dall’Italia.

I prodotti italiani
            Nelle ore calde rimaniamo a riposare, come dice Vittorio “qui siamo sull’incudine del sole”. Ahmed, come tutti i tuareg, bravissimo a fare il tè che qui ha un rituale del tutto particolare. Tra un tè e l’altro, riesco a fare un “pisolino”, c’è la pace assoluta, si sente solo il vento che fischia leggermente tra le spine dell’acacia e, il cinguettio di alcuni uccellini neri dalla coda bianca, che si avvicinano per beccare qualche piccolo avanzo di cibo. Qui li chiamano “mola mola”.

Il rito del tè
            Nel primo pomeriggio si riparte, noto con piacere che “i ragazzi” raccolgono caricandole in macchina,  scatolette e quant’altro  per non lasciare materiale di scarto nel terreno. Spargendo soltanto i resti delle verdure dicendo “pour animaux”.
            La pista è arrivata ad un bivio, una prende la direzione per la Libia e l’altra per la Tadrart, la nostra meta. Lungo il percorso incrociamo un altro fuoristrada, ci fermiamo, gli autisti si salutano calorosamente; sono loro amici, che pur abitando nella stessa città, probabilmente si vedono soltanto sui circuiti dell’hoggar. Trasportano turisti francesi che non ci degnano di uno sguardo, non fa nulla … i migliori siamo noi.

Incontro tra guide
            Arriviamo “all’ingresso” vero e proprio della Tadrart, dune dorate scendono dai monti di basalto erosi dal vento creando una sabbia bruna. Le due sabbie si mischiano leggermente, poi il biondo riprende il sopravvento. Ogni tanto scendiamo dalla macchina, lasciare le prime orme sulle dune è divertente.
            Transitano nel senso inverso altri “quatre-quatre”, così Aziz chiama i fuori strada. Ci fermiamo per scambiare saluti ed informazioni, nel frattempo ne approfittiamo per scattare qualche foto. Mentre i turisti, anche questi francesi, non ci fanno neanche un cenno.
            Alle diciassette, facciamo campo in un posto bellissimo, si chiama “Ouan Tabarakat”. Montiamo la tenda sopra una duna circondata da un “plateau” e da colline nere di basalto. I nostri compagni di viaggio preparano la cena, questa sera minestrone ed agnello, si sente già un buon profumo. Djaba ci ha anche fornito di un tavolo con le sedie, debbo dire che è molto comodo sia per mangiare ma, soprattutto per lo scrivere; ne approfitto in ogni pausa. Oggi in tutto abbiamo percorso circa cent’ottanta chilometri.

La nostra casetta tra le dune 

         Verso le diciannove si alza un vento freddo, c’è abbastanza luce e me ne avvalgo per scrivere un po’, mentre Vittorio "traffica" con le macchine fotografiche per proteggerle dalla sabbia.

Aggiorno il mio diario

          Dopo cena Ahmed ci affascina con la preparazione del tè, un vero e proprio rito. Il cielo è stracarico di stelle, ne vediamo una cadente che dopo una lunga scia termina con un’esplosione pirotecnica. Ahmed dice che sono “les étoile filantes”, poi ci spiega le costellazioni; con i ragazzi stiamo rispolverando il nostro francese e ci intendiamo benissimo. Questo modo di viaggiare ci piace molto, tra di noi non ci sono differenze, siamo come quattro amici che hanno intrapreso lo stesso cammino; credo che anche loro hanno questa sensazione, perché iniziano a parlare della loro vita privata e della loro famiglia. Sono quasi le ventidue, la stanchezza inizia a farsi sentire, buonanotte.

Il passaggio delle stelle, fermato sulla pellicola

2° giorno di escursione

            La notte è trascorsa tranquilla, giusto a metà nottata sono uscita dalla tenda per ammirare il firmamento, il cielo era bianco latte per la gran quantità di stelle, uno spettacolo insolito per chi come noi vive in città, nel silenzio più assoluto.
            Alle ore nove, dopo aver fatto colazione siamo pronti a partire, qui vicino ci sono da ammirare alcune grotte con le pitture rupestri sulle pareti.

Le grotte piene di pitture

           Un graffito ci colpisce in particolar modo, è una giraffa inginocchiata; abbiamo visto tanti animali raffigurati ma mai in questa posizione. Ci sono moltissime conformazioni rocciose di basalto, di ogni altezza e grandezza. Prima di ripartire, tagliamo un po’ di legna da un vecchio albero di acacia essiccato, ci verrà utile per questa sera.

Una pittura raffinata

            Poco più avanti visitiamo uno stretto e lungo canyon, siamo nell’Akakus di Djanet. Sulle pareti rocciose vediamo diverse “gravure” di giraffe, sembra strano che in questi luoghi qualche migliaio di anni fa al posto della sabbia c’era una verde savana. Poco distante fotografiamo uno strano fiore secco, è chiuso su se stesso, Aziz dice che si chiama “la rosa di Gerico di Maria”.
            Risaliamo in macchina, non mi stancherò di dirlo, i ragazzi che ci accompagnano sono simpatici, per tutto il tragitto non perdono mai l’occasione di ballare al ritmo della musica nell’autoradio. Ci troviamo in un’ampia superficie con moltissime dune, rocce multiformi, incisioni rupestri ed alcune piante resistenti all’aridità.
            All’orizzonte, davanti a noi vediamo l’altissima sagoma di In Jarren, una rupe a strapiombo, è la che siamo diretti, la sua ombra ci offrirà il riparo per il pranzo. Mi piace fare campo nel deserto, lontano dal caos cittadino, con le nostre comodità godiamo in pieno dei colori, le forme bizzarre dei massi e dai profumi delle piante spontanee.

Il costone ci protegge con la sua ombra

            Anche qui ci sono delle giraffe incise, a differenza delle altre, qui troviamo anche la figura di un uomo che le accompagna. Provo a scrivere tutto questo, in attesa che Aziz prepara le sue prelibatezze. Ogni volta che inizio a scrivere, mi piace guardare il foglio bianco del “quadernone”, pensare che a breve sarà pieno dei miei appunti e “scarabocchi, è bellissimo.

Le grandi incisioni

            La valle dove sostiamo è chiusa da alti versanti uniti da morbide dune, un leggero e piacevole vento si incanala e mi massaggia il viso, è una sensazione piacevole. Aziz ha terminato il suo capolavoro, un’ottima insalata di riso; all’inizio sembrava abbondante ma poi, l’abbiamo terminata. Sotto questo costone e all’ombra, ci spetta un meritato relax.

Oltre che buona, anche ben presentata

            Dopo la siesta ci spostiamo di qualche chilometro nella bellissima zona con basse formazioni rocciose di Moul Naga. Siamo qui per fotografare la pittura di una mandria di mucche, un lavoro raffinato nel suo genere.

Colori che resistono da migliaia di anni

         Ci spostiamo poi in una grande spianata sabbiosa dove si erge un enorme blocco di granito, sembra una cattedrale, con volte e fessure che sembrano finestre, Ahmed ci conferma che i tuareg la chiamano appunto “la cattedrale”. Ci facciamo fare una foto da Aziz. Quest’area è disabitata da alcuni decenni, gli ultimi pozzi d’acqua si sono prosciugati e anche gli ultimi nomadi di nazionalità libica che la frequentavano, se ne sono andati.

La cattedrale

            Ahmed è bravo alla guida, ha abbassato la pressione delle gomme per poter “mordere” meglio la sabbia, sembra di veleggiare. A velocità sostenuta arriviamo in una ancor più ampia vallata, questa Tadrart non smette mai di stupirci. Grandi ed inamovibili dune si susseguono ad altopiani ed a monoliti che come fusi escono dalla sabbia, forme bizzarre, con la fantasia si possono immaginare figure di animali o di persone.

Come è piccola la macchina, al centro delle grandi dune

        Poco più avanti ci accoglie una valle rotonda con la sabbia color ocra, al centro un altissimo blocco di pietra, è facile interpretare la sua figura: un mezzo busto di dromedario, a guardia della sua valle. È qui davanti che faremo campo per la notte.

La roccia a forma di dromedario

            I raggi del sole al tramonto arrossisce ancor di più i caldi colori della sabbia, una leggera brezza di ponente sta rinfrescando l’aria, ma ci crea un piccolo fastidio nel montare la tenda, ben presto superato. Ognuno di noi è affaccendato con i propri impegni, mentre io scrivo Vittorio controlla le fotocamere, Aziz prepara gli ingredienti per la cena ed Ahmed, ha appena acceso un bel fuoco. Ci fa compagnia, lo scoppiettio di moltissime faville che si sollevano dai carboni trasportate dal vento.

Il fuoco serale

            Aziz, a sorpresa, a preparato delle penne al pomodoro, cottura al dente e con l’aggiunta di una abbondante grattugiata di parmigiano, squisite. Nei nostri viaggi l’ultimo dei nostri pensieri è mangiare all’italiana, ma quando non te lo aspetti lo apprezzi moltissimo.
            La giornata è finita, ci sdraiamo con il naso all’insù a guardare le stelle, questa sera c’è un po’ di foschia, ma la via lattea è inconfondibile.

3° giorno di escursione

            Ci svegliamo presto, il cielo è bellissimo. L’alba, da un aspetto roseo alle colline circostanti.
La nostra tenda, compagna di tante escursioni

            Questa notte vicino la nostra tenda ci deve essere stato un gran movimento, si vedono diverse orme di piccoli animali, piccoli roditori e sicuramente anche conigli selvatici. Vittorio sale sulla duna più alta per fare qualche panoramica, io scrivo il mio diario per non dimenticare. Guardo la valle, il paesaggio è completamente cambiato rispetto a ieri, il colore acceso della sabbia ha lasciato il posto ad un rosa tenue che rende le dune quasi impalpabili. È stupefacente come il silicio del deserto possa cambiar colore con l’inclinazione del sole.

Il campo prima del tramonto

            Un’altra giornata di escursioni è iniziata, dobbiamo percorrere un bel tratto di pista per visitare una zona rocciosa con molte grotte ed archi naturali. Nel frattempo si alternano soffici dune e varie conformazioni rocciose dalle forme più strane.

Un susseguirsi di grandi archi

Lungo il tracciato ci fermiamo varie volte per fotografare dei monoliti che sembrano sorgere dal niente. Sopra alcuni sassi si vedono correre alcune grosse lucertole, sembrano dei sauri in miniatura dai colori vivaci; al posto della pelle liscia hanno grosse squame e la coda seghettata. Vittorio ne prende una, è scalpitante, giusto il tempo per un paio di foto e torna a correre libera.
Siamo arrivati ad In Tehar, il primo arco naturale che incontriamo, ha la forma della cartina dell’Africa, è strano come la corrosione possa creare simili “sculture. Ci facciamo una foto con l’autoscatto. Più avanti archi e grotte, antichissime dimore degli uomini delle caverne, lo dimostrano le pitture rupestri ed alcune punte di freccia in selce che spuntano dalla sabbia.

L'arco con il profilo dell'Africa

         La sosta è prevista a Buehdien, sotto una roccia alta e levigata. Il caldo si fa sentire e dopo aver mangiato, un meritato riposo. Riposo che è stato disturbato dalle mosche, oggi sono state fastidiosissime, forse a causa del gran caldo che oggi si fa sentire più del solito. Davanti a noi diversi uccellini saltellano e banchettano con gli avanzi del cibo. Ce ne sono di due tipi, alcuni grigi e piccoli, gli altri tutti neri dalla coda bianca, più grandi e prepotenti.
Smontiamo il campo, ci lasciamo alle spalle la zona rocciosa ed inizia un sali scendi di dune. Il tratto è molto divertente, sembrano divertirsi anche un piccolo gruppo di giovani dromedari che ci guardano incuriositi.
A metà pomeriggio siamo in vista di Tin Merzuga, un’area particolare di altissime dune color rosso ruggine, da cui vengono fuori pinnacoli di roccia bruna. È li che ci accamperemo per la notte.  Ahmed è bravissimo nella guida, con il suo toyota riesce a svalicare molte di queste creste sabbiose, per posizionarci nel migliore punto strategico per la notte.

La sabbia rossa di Tin Marzuga

Appena fermato la macchina, saliamo a piedi più in alto per cercare la posizione migliore per riprendere la valle sottostante con le sue morbide forme ed i suoi monoliti. Il sole ha la giusta luce per le foto, le ombre esaltano le soffici curve dei crinali. Fotografiamo anche le nostre di ombre, che si allungano nella morbida discesa.

Il paese delle ombre lunghe

Poco prima del tramonto troviamo il luogo adatto per montare la tenda, siamo leggermente più alti del campo, da qui possiamo ammirare a destra, le punte della catena modellate dal vento e, sulla sinistra, l’enorme valle con i suoi plateau. Ci sono evidenti tracce di gazzella, le sue orme nitide, ci dicono che è appena transitata.
Oggi è stata una giornata molto calda e con mosche fastidiose, ma le meraviglie delle cose da vedere sono state tante, un continuo crescendo. Sempre più stupiti per le bellezze e la varietà, che quotidianamente ti offre questa Tadrart.

Soffici dune e ruvide rocce

Ahmed prepara il suo buon tè, con il rito tuareg. Nei giorni precedenti ce ne ha spiegato il significato, l’infuso si prepara con due teiere soprapposte, quella sottostante c’è soltanto acqua e quella sopra l’infuso di foglie di tè e zucchero. Il primo “giro” di tè, è forte, si dice che è per gli uomini; il secondo “giro” meno forte, è per le donne ed infine con un’aggiunta di camomilla, il terzo “giro” è per i bambini.
Oggi sono molto stanca, mangio appena un boccone, saluto tutti e mi ritiro in tenda, una leggera brezza ne scuote i teli. Sotto il materassino si sente il calore della sabbia, Ahmed ed Aziz intonano delle canzoni tuareg per farsi compagnia, mentre Vittorio ascolta sulla nostra radio ad onde corte un programma in lingua italiana. Ancora tante vittime a Bagdad, non la finiranno mai.

4° giorno di escursione

Qui, a Tin Marzuga, abbiamo abbattuto tutti i record. Alle ore otto, il campo è già smontato, è appena terminata la colazione, ma prima di riprendere il cammino, saliamo in cima alle dune sul lato opposto del campo, da quassù il colpo d’occhio è straordinario. Tutta la valle è in piena luce, alcuni blocchi granitici s’innalzano dal rosso della sabbia, scattiamo molte foto e riscendiamo in fretta. È tempo di ripartire.

Aspettando la colazione

Il percorso torna a farsi misto, la sabbia si alterna a rocce multiformi, una roccia lavorata dal vento e dalla sabbia rassomiglia ad un enorme porcospino dalle zampe esili. In seguito un susseguirsi di grandi arcate e grotte, con la volta affrescata da chissà quali primitivi artisti. Un graffito mi colpisce in particolare, è la rappresentazione di una donna che salta con la corda, un gioco che facevamo noi da ragazze e … le ragazze di qualche migliaia d’anni fa. Purtroppo il disegno è troppo all’interno, e la luce è poca per fotografare.

Il porcospino di pietra

Torniamo a viaggiare sulla soffice sabbia, Ahmed si diverte molto alla guida, è come andare sull’aliscafo. A pensarci bene, la notte scorsa prima di addormentarmi per un attimo ho avuto la sensazione del mal di mare; l’effetto del galleggiamento sulle dune.
Ci fermiamo davanti ad una parete rocciosa verticale e levigata, c’è inciso un bassorilievo di una mucca, un intaglio preciso ma per poterla vedere bene bisogna attendere un poco, il fronte è in piena ombra. Nell’attesa del sole, decidiamo di fermarci per il pasto, tutto sommato un po’ più di riposo non ci può far male.
Ci sistemiamo a ridosso di un costone ombroso, una grossa lucertola dalla livrea azzurra ci guarda a distanza, poi rapidamente si allontana. Vittorio instancabile, va in esplorazione, io cerco di aggiornare il mio diario. Le cose viste sono state tante, a volte ho timore di dimenticare qualcosa, è vero che riportiamo molte foto ma, i particolari preferisco fissarli nei miei quaderni.

Quasi a grandezza naturale

Oggi non ho molta fame ma solo sete, dico ad Aziz di non preparare per me, lui risponde che lo deve fare per la sua professionalità. Mangio poco ma gradisco il buon tè di Ahmed, il nostro francese migliora con il passare dei giorni, è piacevole conversare come “vecchi amici”; che bella questa atmosfera che si è creata tra noi.
Adesso la parete da fotografare è in piena luce ed evidenzia l’ottima incisione della mucca. Lasciamo il sito e continuiamo il nostro giro, questa volta i graffiti cambiano le raffigurazioni. Non vediamo più mucche o giraffe, ma grandi elefanti e addirittura pesci, certo accostare i pesci al deserto è strano, ma chissà diecimila anni fa in questi uadi quanta acqua scorreva.

Il grande pachiderma

Passiamo vicino ad un altro accampamento, ci sono due fuoristrada con le guide tuareg. I “nostri” si fermano per salutari con grandi abbracci e pacche sulle spalle, si incontrano più sulle piste che a Djanet. Stanno aspettando i turisti che con un’altra guida sono andati a vedere le giraffe, i graffiti che ieri avevamo visto anche noi. Ogni incontro è buono per scambiare quattro chiacchiere  ed offrire del tè. Nei nostri tanti viaggi, dall’Africa al medio-oriente, zone di gran consumo di tè, spesso ci viene offerto questa bevanda, ma mai buono come lo fanno nel Sahara.

Ogni occasione è buona per un tè

Noto che la sistemazione di questo campo è meno curata della nostra organizzazione, i loro materassini sono più bassi e consumati. Djaba è molto più attento, vivendo per sei mesi in Italia e conoscendo le esigenze degli italiani, offre loro il meglio.
Dopo il rito dei tre tè, e dei saluti, lasciamo la Tradart percorrendo l’uadi in senso inverso in direzione Djanet. Da lontano notiamo la grande duna dove abbiamo pernottato la prima notte. Ci lasciamo alle spalle il bellissimo panorama dei plateau e delle dune multicolori. Il paesaggio diventa piatto e nero, il tracciato pieno di grandi sassi. Ahmed è sempre bravo alla guida e non fa fare grossi scossoni alla vettura. Entriamo nell’uadi nei pressi di In D’jarrein, costeggiamo una lunghissima duna color senape, non è molto alta. È qui che trascorreremo la notte.

Un panorama emozionante

Nei paraggi c'è la monotonia di un deserto piatto senza asperità, l'unico rilievo è la concentrazione sabbiosa alle nostre spalle. Vittorio prova ad andare oltre, in "avanscoperta" poi torna e dice che non c'è niente da scoprire. Aziz mi viene vicino e dice: vanno bene gli spaghetti per cena? La risposta è inutile e, dico di si con un sorriso.
Ahmed prepara il rito del tè, inizia col fare una buca rotonda dove accenderà il fuoco ed alloggerà la brace, nel frattempo ha iniziato un canto con la voce modulata, ascoltarlo è piacevole, il crepuscolo ed il fuoco ne amplificano l’effetto.

La preparazione della cena

Il buio è calato velocemente, i ragazzi con questa poca luce si muovono come i gatti, ceniamo alla luce fioca di una lampada a gas dalla “calzetta” rovinata. Con l’oscurità è arrivato anche un po’ di freddo, non me la sento di aspettare il tè; saluto tutti e mi ritiro in tenda.

5° giorno di escursione

            Questa mattina, alle otto del mattino è già caldo, in questo periodo l’escursione termica si fa sentire. La tenda è ben isolata per la temperatura, ma non per il terreno, nonostante i materassini la sabbia è dura; scherzando ci diciamo: “lo vuoi il deserto? Eccolo!”. Dormire tra le dune e sotto le stelle, è un’esperienza unica ed emozionante. Per noi, questo è il terzo anno consecutivo che facciamo escursioni nel deserto algerino, naturalmente in tre aree diverse. Non sappiamo dire quali delle tre ci ha più colpito, sia questo che stiamo attraversando, o il tassili N’Ajjer con l’Assekrem o la valle del Tagrera, tutte, hanno delle particolarità uniche ed entusiasmanti.
            La sabbia lascia il posto ad una superficie di pietra grezza, la pista si fa acciottolata e dura, dovremo fare diversi chilometri di questo tracciato, bisogna riportare la pressione dei pneumatici alla giusta pressione, la nostra guida ed autista è molto scrupoloso con la sua vettura, ed è anche un buon meccanico.
            Ahmed cattura per noi una lucertola coriacea, a me piace chiamarla iguana, dicono che dal colore si vede che è un esemplare giovane. Per il fatto che non è viscida riesco anche a toccarla, Vittorio la prende in mano e l’accarezza mentre io scatto alcune foto. Quando delicatamente la appoggia in terra per lasciarla libera, è scappata via come il vento sollevandosi sulle zampe.

Il bellissimo sauro

Siamo giunti davanti a delle pareti rocciose, dove si adagiano distese di sabbia giallo oro, anche qui si ergono guglie granitiche. Un susseguirsi di incisioni e pitture rupestri ma queste non ci sembrano ben conservate, in compenso Ahmed ha trovato delle punte di freccia in selce e me ne fa dono.
Approfittiamo di questa sosta e di questo luogo per il campo di metà giornata. Con questo caldo una buona “salade tuareg” (un insieme di pomodori, verdure e cereali) è quello che ci vuole.
Nelle ore più calde per la siesta pomeridiana il “campo” dorme, ogni tanto qualche folata di vento ci scaglia addosso alcuni granelli di sabbia. “lo vuoi il deserto? Eccolo!”.
Il rumore di rami tagliati mi sveglia, Ahmed sta accendendo il fuoco per il tè. Sta cominciando la “cerimonia”; non credo di averlo detto, ma il tutto inizia da una cassettina di legno con le cerniere di ottone lucido, ben rifinita, Ahmed ne è geloso. Nel suo interno oltre al sacchetto del tè, c’è tutto l’occorrente per questa aromatica bevanda, altri sacchetti con lo zucchero e la camomilla oltre il bicchierino di vetro per dosare lo zucchero.
Bisogna attendere un po’ per la preparazione, ne approfitto per fotografarlo, fotografie che poi gli spedirò dall’Italia.
La nostra guida ci dice che il campo per la notte lo faremo ad Alidemma, c’è molto da camminare e bisogna arrivarci con la luce. Ci mettiamo in marcia, oltrepassiamo un ampio spazio delimitato da pietre, è un grande cimitero preistorico, una spianata di sabbia gialla da dove escono una moltitudine di steli nere di basalto.

Le tracce della nostra auto

La pista termina davanti grande duna, addossata ad altissime rocce che ne delimitano la larghezza. E' qui che passeremo la notte. Il paesaggio è misto tra sabbia e pareti granitiche che s'intrecciano tra loro per formare delle arcate.

La valle termina qui

Facciamo una passeggiata esplorativa, sulla duna più alta a giudicare dalle tracce, non più tardi di ieri qualcuno ci è salito. Fino ad oggi nei luoghi visitati, i primi a lasciare le proprie orme eravamo stati noi. È vero, i nostri passi rovinano la morbida giravolta dei dossi, ma basta un po’ di vento per rigenerare l’originaria sinuosità.
Da quassù si riesce a scorgere tutta la valle, riusciamo a fare delle splendide foto. Ai nostri piedi una sabbia chiarissima, in lontananza rocce levigate si alternano agli alberi di acacia, due giovani dromedari con il collo allungato verso l’alto, stanno mangiando i germogli più teneri. Proviamo a scendere sull’altro versante, aggireremo la collina per tornare al campo. Camminare è faticoso, i passi sono pesanti sulla sabbia morbida, affondiamo fino al ginocchio ma continuiamo a scendere.

Uno scenario fantastico

Quando rientriamo al campo c’è ancora un po’ di chiarore, ne approfittiamo per montare la tenda. Alle diciannove l’orizzonte si tinge di rosso, tra dune e rocce, un tramonto incantevole illumina un cielo, alcune piccole strisce nuvolose che ne esaltano il contrasto. Con il passare del tempo, la nuvolosità aumenta, Ahmed sorridendo dice che domani pioverà. Non capisco se sta scherzando, d’altra parte è una persona allegra.
Dopo cena, Vittorio cerca sulla radio una stazione in lingua italiana per avere qualche notizia. Non troviamo la RAI, che anno dopo anno diminuisce le trasmissioni in OC. Riusciamo ad avere qualche news, grazie ad una stazione per l’italiani in Canada.
                                  6° giorno di escursione (1° aprile)
Al mattino, Ahmed con aspetto serio ci comunica che un leone si aggirava sopra di noi, poi con un gran sorriso ci augura “ Buon primo aprile” non pensavo che anche qui si usa il “pesce”. È proprio un burlone.
La preparazione per la partenza ci trova tutti “sullo stanco”. Il deserto ti prende, ti conquista, ti affascina, ti sfinisce. Il deserto è bellissimo.
Lungo il percorso incontriamo sabbie multicolori e monoliti che nascono dal nulla, puntiamo verso un ampio arco di pietra. Ci fermiamo sotto l’arcata e facciamo una foto di gruppo, macchina compresa.

Foto di gruppo

Recuperiamo la via, il panorama è piatto, leggere ondulazioni sabbiose dove la toyota corre velocissima facendoci sobbalzare sui sedili. Tutto intorno un colpo d'occhio poco interessante, ormai le grandi dune le abbiamo lasciate alle spalle, la parte più interessante l’abbiamo visitata. Credo che nei due giorni di tour che rimangono, ci sarà poco da vedere.
Ci riposiamo all’ombra di una grande acacia. Vittorio chiede quanti chilometri mancano per Djanet. La distanza non è molta, volendo, si può arrivare in città entro la giornata. Facciamo un breve riassunto del viaggio, quello che abbiamo visto in questi giorni ci ha appagato. Abbiamo ammirato una natura fantastica, molto lontana dal nostro patrimonio di conoscenze, a volte ci siamo commossi, appassionati ed emozionati.
Alla luce di tutto questo, decidiamo di interrompere oggi il nostro “giro turistico”. Siamo talmente felici di quanto visto, che preferiamo non proseguire oltre. La nostra guida ci guarda preoccupata per questa decisione, crede che non siamo contenti. Noi lo tranquillizziamo. Siamo veramente soddisfatti di quanto fatto fin qui, e che naturalmente avremmo versato il saldo per tutti i sette giorni.
Prima di risalire in auto, Ahmed riempie il serbatoio di carburante, vuotando le taniche di scorta. Poi via veloci sulla morbida sabbia. Ai lati della pista, probabilmente un’antica via di comunicazione carovaniera, piccole collinette sassose dai vivaci colori.
Incrociamo due gazzelle che corrono come il vento, poi una terza più vicina, il nostro autista riesce ad avvicinarla correndole affianco, la macchina sobbalza, fotografarla è un problema. Aziz dice che questo è il modo per catturare questi animali, gli si corre dietro finché il loro cuore cede, uccise dalla loro stessa corsa. Dietro nostra richiesta, torniamo sui nostri passi lasciando quei graziosi animali al loro destino.
Cerchiamo un posto all’ombra per la sosta, ci fermiamo vicino a grandi massi di granito grigio che formano una caverna. Non è molto grande ma ci stiamo tutti.
Mangiamo in fretta, dal momento che abbiamo deciso di rientrare, Ahmed ci vuol far vedere una incisione unica nel suo genere. Andiamo verso il deserto del Teneré, una distesa di sabbia piatta priva di ogni minuscola asperità che arriva fino in Niger. È allucinante, segni di pneumatici che vanno in mille direzioni, senza nessun punto di riferimento in nessun lato del confine fra cielo e terra.
  Ahmed sa dove andare, punta verso il nulla. Dice che arriveremo a Terarat, è là che vedremo l’ultima incisione. Pian piano dall’orizzonte si evidenzia una formazione rocciosa, due guglie dritte come campanili nel mezzo al niente. In basso alla parete, la pregevole opera, ne avevo sentito parlare. Le vacche che piangono, un bassorilievo di pregevole fattura.

L'incisione è la dentro

Chissà mai perché gli avranno inciso le lacrime

Oramai poca strada ci separa dal camping Zeriba, siamo a venti chilometri da Djanet e dal camper. Questa notte dormiremo nel nostro lettone. La città è alle porte, le nostre guide ci accompagnano, sono curiosi di vedere la nostra casa viaggiante. Sono meravigliati, camper che arrivano fin quaggiù sono rari.
Ci raggiunge anche Djaba, pure lui è sorpreso del fatto che abbiamo interrotto il tour un giorno prima, lo rassicuriamo, abbiamo trascorso una meravigliosa esperienza terminata nel momento giusto.
Facciamo un brindisi di saluto, in particolare salutiamo i ragazzi, non sappiamo se torneremo ancora. Con Djaba sarà differente, lui vive in Italia e senz’altro, ci rivedremo.
La nostra terza avventura sahariana finisce qui. Non so se quello che provo e che proviamo sia il “mal d’Africa”, ma certamente le sensazioni e le emozioni che riporteremo a casa, ci accompagneranno per diverso tempo.
Domani il viaggio continua verso il nord, prima di imbarcarci per l’Italia attraverseremo tutta l’Algeria e la Tunisia, ancora luoghi da visitare e cose belle da vedere, la settimana appena trascorsa però, è stata un viaggio nel viaggio.
                                                                                 Anna Maria Rosati

mercoledì 11 luglio 2012

                 Una visita a:
Arg-e-Bam, tra passato e presente
        
           Con queste poche righe voglio raccontare di una antica città immersa ai margini del Kavir-e Lut, il deserto a sud-est dell’Iran. Una città che per la sua bellezza ed importanza fu proclamata da parte dell’UNESCO patrimonio dell’umanità: Arg-e-Bam.

Il 26 dicembre 2003, questa città fu stata cancellata da un terribile terremoto. Il terrificante bilancio fu di 50.000 morti.

 Il lungo itinerario per arrivare a Bam

Recentemente siamo tornati in quella terra martoriata, nella mente avevamo il ricordo dei luoghi dove nel 1997, durante il nostro primo viaggio in Iran scattammo alcune foto, dalle semplici botteghe alle case di lusso, dalle scuderie del governatorato al palazzo del governatore.
Rammento ancora quando Vittorio mi chiamò dalla torre che sovrastava la cittadella, il tutto era appena stato restaurato, adesso è solo un cumulo di macerie.
Qui di seguito aggiungo un breve brano estratto dal mio quarto diario di viaggio, intervallate da alcune immagini riprese approssimativamente nelle stesse prospettive, prima e dopo il sisma.  

 1997,   Da Kermân a Bam e ritorno

Kerman non è una città interessante, ad eccezione della vecchia struttura che ospita il bazar ed alcune moschee, ma sicuramente è un’ottima base per visitare la città di Bam, distante da qui duecento chilometri.
Ci alziamo presto, alle otto è già caldo, così prima di avviarci verso la cittadella di Bam comperiamo il ghiaccio per la “ghirba”.
Poco dopo la città, lungo la statale, notiamo un enorme mulino con centinaia di autotreni in sosta colmi di grano, attendono il loro turno per depositarlo; il clima caldo di questa parte dell’Iran, lo fa maturare precocemente.
Siamo vicini alla frontiera con il Pakistan. Lungo la strada sono frequenti i posti di blocco militari, i controlli dei documenti sono sempre discreti ed i militari gentili. In uno dei tanti controlli ci fanno osservare che bisogna indossare le cinture di sicurezza, lungo le strade ci sono numerosi cartelli a riguardo. L’osservazione è giusta ma, il mio pensiero va a quelle motociclette che transitano con cinque persone a bordo.

Arriviamo a Bam poco dopo le undici e parcheggiamo all’ombra di un grande albero sotto le alte mura fortificate. Il caldo è abbastanza intenso, e per l’escursione alla antica cittadella portiamo con noi una borraccia d’acqua. Nel piccolo shop all’ingresso comperiamo un bel libro di fotografie su Arg-é Bam.

L'ingresso alla cittadella Arg-e-Bam

Dal cortile d’ingresso, vediamo il fervore dei lavori di restauro del grandissimo complesso. Il castello in alto sembra ben restaurato come pure le sue mura, mentre la parte bassa della città è in rovina, delle vecchie case, botteghe, del bazar e di tutto il resto, rimangono solo muri in mattoni crudi semi-diroccati. Nonostante tutto, la visione e veramente bella. Sopra la rocca spicca la torre di guardia; da qui sembra lontana ma ci arriveremo in breve tempo.

Le torri, le mura i contrafforti merlati

E' franato tutto
     Da stradina in stradina saliamo verso la cittadella vera e propria. Davanti a noi altre mura fortificate; queste ben restaurate con intonaco di fango e paglia color dell’oro. Dietro un ampio portale, una ripida salita ci invita verso la residenza privata del governatore. Costeggiamo bellissime mura merlate, le pagliuzze che escono dall’intonaco hanno un effetto scintillante, inutile dire di quante foto abbiamo fatto; con questi panorami si ha sempre timore di non farne abbastanza.

Le pagliuzze nell'intonaco brillano al sole
Lungo il percorso attraversiamo il cortile delle stalle, la guarnigione militare, le residenze del comandante la guarnigione e del governatore; da qui si gode un bellissimo panorama, ma non ci accontentiamo e saliamo fino in cima alla torre per avere una visione sull’intero complesso e sulla ‘palmerie’ a 360 gradi.

Le scuderie e la cisterna d'acqua centrale

Solo la cisterna è rimasta in piedi

Le ore passano senza che ce ne accorgiamo, il sole sta lentamente abbassandosi colorando di un bel ocra tutto il complesso. È una splendida visione, è proprio un bel regalo di compleanno.
Quassù, ritornano in mente le immagini della ‘Fortezza Bastiani’ nel film “Il deserto dei Tartari”, il famoso romanzo di Dino Buzzati, trasformato in un bellissimo film da Valerio Zurlini del 1976,  non poteva che essere girato qui.

I diversi strati della fortificazione

La visita è terminata. È ora di rientrare a Kermân, diamo un ultimo sguardo d’insieme per fissare nella nostra mente l’immagine di questo patrimonio dell’umanità.

Tornati in città, l’orologio della grande piazza indica che sono le venti e trenta. L’orologio è al centro di una fontana illuminata da vari colori, intorno un bel giardino fiorito;  questa sera c’è molta  gente  intenta in una  preghiera collettiva, sarebbe bello assistervi ma ci attendono in albergo per la cena iraniana.
Appena il tempo di rinfrescarci e scendiamo nel ristorante, è semplice e pulitissimo. Ci sono una decina di clienti, solo maschi, penso uomini d’affari perché c’è una persona per ogni tavolo.
Dopo la cena arriva una sorpresa, i proprietari di loro iniziativa mi portano una torta con tanto di candela accesa, sono stati veramente gentili; il dolce è buonissimo, c’è anche del tè.
È stato proprio un bel compleanno in terra straniera.
                                      
                                          2007, dieci anni dopo

            Esattamente dieci anni dopo la prima visita e a quattro dal sisma, torniamo a Bam. Entriamo nella parte nuova della città, un grande cantiere. Probabilmente la ricostruzione è iniziata in ritardo visti i tanti ponteggi per le strada. Di gente se ne vede poca, forse saranno ancora nella “palmerie” ad accudire i famosi datteri neri, o forse per cercare un po’ di refrigerio. Nel ’97 entrando in città, alla fine di una strada tra le palme, ti trovavi davanti la cittadella fortificata, con le alte mura merlate. Oggi la visione che si presenta al visitatore è differente, si transita in una brutta periferia per finire innanzi a un’arida collina che ha preso il posto di una cittadina aggraziata come un castello. Le possenti mura cinta e i loro contrafforti sono ridotti ad un ammasso di polvere.

Non è rimasto più niente         

          Ci avviciniamo alla porta monumentale, dei due torrioni non ce ne è neanche l’ombra, si sono letteralmente polverizzati. All’interno si notano una gran quantità di ponteggi metallici, ma più che per tentare un’improbabile restauro, sembrano innalzati per evitare ulteriori crolli.


Quel che resta dell'ingesso monumentale        

           All’interno del sito archeologico è crollato tutto. Gran parte degli antichi edifici furono innalzati con mattoni crudi intonacati con fango e paglia, materiali poveri che non possono resistere ad un sisma così violento; ciò nonostante, non c’è stata nessuna vittima. Tutte le persone decedute, sono rimaste sotto le case in cemento della nuova Bam.
            Lungo il vialetto un cartello ammonisce di non portare via i mattoni, forse qualche visitatore ha pensato di portarsi a casa qualche souvenir. Riprendiamo quel che è possibile con la telecamera e qualche istantanea, le confronteremo con le foto fatte prima del terremoto.


 Il viale delle botteghe, all'interno del portale nel 1997

Non ci sono tracce né delle botteghe né tantomeno del portale         

          Cerchiamo di salire fino alla casa del governatore, viottoli aperti attraverso le macerie hanno preso il posto alle strade che un tempo venivano percorse anche dalle carrozze. È abbastanza caldo, Vittorio vuol salire fin dove c’era la torre, io lo aspetto all’ombra sotto l’unico arco rimasto in piedi. Rimango sola poco tempo, è stato impossibile salirvi, il posto di avvistamento che prima svettava come un albero maestro si è sbriciolato, e diversi detriti ne ostacolano il passo.

Quello che era la parte più alta della cittadella

... diversi detriti ne ostacolano il passo.

            La visita è terminata, ci si stringe il cuore nel vedere una simile catastrofe, poco importa averla vista diversi anni prima in pieno e rigoglioso restauro. Dicono che Bam risorgerà, lo spero, non posso pensare che le future generazioni l’abbiano perduta per sempre.

La visita è terminata

            Voglio terminare questo breve scritto, con una eloquente fotografia, non è nostra, è stata ripresa ad una mostra fotografica per ricordare le tante persone decedute.
Gli occhi del dramma          

                                                                                  Anna Maria Rosati
                                                                  -----ooooo-----